Analisi Forense su Armi da Fuoco Prodotta con Stampanti 3D
Una dimostrazione rivelata attraverso un servizio video della BBC ha messo in luce il lavoro di analisi condotto da specialisti forensi su un’arma prodotta mediante tecnologia di stampa 3D.
Le armi fabbricate con stampanti 3D sono diventate argomento di discussione data la loro crescente diffusione. La possibilità che soggetti malintenzionati possano fabbricare in modo autonomo queste armi senza sottostare ai regolamenti vigenti per la registrazione, oppure acquisirle dove la legge lo proibisce, è motivo di preoccupazione.
Autorità a livello globale esprimono inquietudine rispetto a questa tendenza che potrebbe incrementare sia il numero sia la severità degli atti criminali. Diverse autorità hanno quindi introdotto misure per limitare la produzione di tali dispositivi, che spesso vengono creati utilizzando stampanti 3D da tavolo di uso comune.
Va sottolineato che queste armi non sono interamente prodotte in 3D. Solo alcune componenti essenziali vengono realizzate mediante la stampa, mentre le restanti parti sono di tipo tradizionale. Proprio il componente stampato è quello cruciale ai fini della registrazione, mentre gli altri elementi sono considerati componenti standard.
Un servizio video della BBC ha documentato l’indagine di un esperto forense su un’arma presumibilmente confiscata dalle autorità del West Midlands nel Regno Unito. L’obiettivo era verificare la legalità del possesso di armi stampate in 3D.
La legge distingue tra repliche non funzionanti e armi vere e proprie. Un oggetto che sembra un’arma non è necessariamente classificabile come tale.
Il processo di verifica ha richiesto un’approfondita preparazione e una rigorosa attenzione alle norme di sicurezza, considerando il rischio di esplosione dell’arma a causa della possibile inadeguatezza dei materiali a sostenere l’energia sprigionata dallo sparo.
Nella fase conclusiva dell’esperimento, i ricercatori hanno esploso un colpo vero all’interno di un blocco di gel balistico, un materiale con proprietà simili ai tessuti umani, dimostrando che il proiettile sparato dall’arma in esame poteva penetrare fino a una profondità di 150 mm, ritenuta sufficiente per causare lesioni letali.
L’esito dell’esperimento ha confermato la letalità dell’arma, fornendo alle forze dell’ordine dati cruciali per avviare eventuali procedimenti giudiziari legati al possesso di un’arma pericolosa.
Questo tipo di indagine non è un caso isolato. Analisi simili sono condotte regolarmente dalle autorità in diverse aree geografiche per accumulare prove dell’illiceità di tali dispositivi.
Le stampanti 3D, pur essendo strumenti dal potenziale innovativo, in questo contesto rivelano il loro lato oscuro, venendo sfruttate per scopi non sempre leciti.