Nel Regno Unito è stato avviato un nuovo progetto di ricerca e sviluppo che ha come obiettivo la trasformazione della produzione e dell’uso dei bioreattori nel settore biofarmaceutico. Project Nexus, finanziato con 1,9 milioni di sterline da Innovate UK (ente britannico a supporto dell’innovazione tecnologica), riunisce un consorzio di aziende e istituti di ricerca per sviluppare apparecchiature biotecnologiche più sostenibili e riutilizzabili, in particolare bioreattori di piccolo formato.

Il problema dell’usa-e-getta nei bioprocessi

Nella produzione biofarmaceutica, i bioreattori svolgono un ruolo essenziale. Quelli impiegati nei laboratori o nelle prime fasi di sviluppo sono spesso dispositivi monouso in plastica, con volumi compresi tra pochi litri e alcune centinaia. Rispetto ai grandi reattori in acciaio inossidabile usati per la produzione su scala industriale, i modelli monouso offrono vantaggi pratici: tempi di allestimento ridotti, nessuna necessità di sterilizzazione complessa, minore rischio di contaminazione incrociata. Tuttavia, al termine dell’uso, questi dispositivi vengono scartati. Sebbene rappresentino una frazione minima dei rifiuti plastici globali, il loro impiego crescente solleva interrogativi sul piano ambientale.

Una nuova visione per la progettazione dei bioreattori

Project Nexus nasce con l’intento di ripensare la progettazione e la produzione dei componenti per bioprocessi, combinando tecnologie di stampa 3D e materiali avanzati a base biologica. Il consorzio coinvolge diversi attori con competenze complementari:

  • Photocentric, azienda specializzata in stampa 3D a resina.

  • Sartorius, fornitore globale di apparecchiature per laboratori e processi biofarmaceutici.

  • Metamorphic, esperta in progettazione digitale avanzata.

  • CPI (Centre for Process Innovation), attiva nello sviluppo di materiali sostenibili.

  • Imperial College London e Advanced Manufacturing Research Centre (AMRC) dell’Università di Sheffield, con competenze accademiche su materiali e processi di produzione.

Perché la stampa 3D?

La manifattura additiva permette di produrre componenti complessi su misura, senza necessità di stampi tradizionali o linee di assemblaggio. All’interno di un bioreattore, ad esempio, sono presenti elementi che entrano in contatto diretto con le colture cellulari e che svolgono funzioni di monitoraggio tramite spettroscopia. Questi componenti devono essere chimicamente stabili, compatibili con ambienti biologici e resistenti a temperature elevate. La stampa 3D consente di produrli in modo flessibile, adattandoli a esigenze specifiche senza generare sprechi né eccedenze di produzione.

Un aspetto centrale del progetto consiste nell’integrare questa capacità di personalizzazione con materiali bio-based di nuova generazione, rendendo alcuni componenti riutilizzabili grazie alla possibilità di sterilizzazione termica in autoclave.

Materiali termoindurenti sostenibili: un nuovo approccio alla durabilità

Il progetto si concentra anche sullo sviluppo di resine termoindurenti a base biologica. Questi materiali, una volta stampati e induriti, formano strutture solide e resistenti, difficili da riciclare ma molto durevoli. L’obiettivo è renderli adatti alla sterilizzazione ad alta temperatura e pressione, requisito fondamentale per garantire l’igiene e la sicurezza nei processi biofarmaceutici.

Photocentric mette a disposizione il proprio sistema di stampa industriale modulare JENI, pensato per produzioni su larga scala. Il sistema consente di realizzare componenti in serie con tempi ridotti, mantenendo un alto grado di precisione.

Un approccio circolare alla progettazione dei dispositivi

Il consorzio lavora su una visione d’insieme, che non si limita al singolo componente ma considera l’intero ciclo di vita dei prodotti: dalla scelta dei materiali alla modalità di produzione, dall’uso al fine vita. Questo approccio sistemico mira a ridurre l’impatto ambientale complessivo dei dispositivi biotecnologici, mantenendo al contempo gli standard tecnici richiesti.

Secondo Tony Jackson, direttore della formulazione presso CPI, l’obiettivo è integrare i principi dell’economia circolare sin dalla fase progettuale, sviluppando soluzioni praticabili per il riutilizzo e per la gestione responsabile dei componenti a fine vita.

Applicazioni e test in contesti reali

I componenti sviluppati all’interno di Project Nexus saranno testati in ambienti operativi reali. In una prima fase verranno sperimentati in laboratori di ricerca e in strutture di produzione a bassa scala, come i centri di produzione farmaceutica decentralizzata (point-of-care). In un secondo momento, si punta a trasferire queste tecnologie anche alla bioindustria, ad esempio per la produzione di composti chimici sostenibili.

L’efficacia delle soluzioni sarà valutata non solo sul piano tecnico, ma anche economico e ambientale. Sarà analizzata la durata dei componenti sottoposti a ripetute sterilizzazioni, l’impatto sulla riduzione dei costi, e le modalità più appropriate per la dismissione dei materiali al termine del loro utilizzo.

Obiettivi futuri e ricadute per il settore

Il progetto, destinato a svilupparsi nei prossimi due anni, si inserisce in una tendenza più ampia che mira a rendere la produzione biofarmaceutica più sostenibile, senza rinunciare alla flessibilità e all’efficienza garantite dalle tecnologie monouso. L’idea è di mantenere i vantaggi che hanno permesso a questi strumenti di giocare un ruolo decisivo, ad esempio, nella produzione dei vaccini anti-Covid, riducendo però l’impatto ambientale associato al loro utilizzo.

Secondo Jeremy Pullin di Sartorius, il valore del progetto risiede nella capacità di guardare oltre le applicazioni immediate, sviluppando materiali e processi in linea con le responsabilità ambientali del futuro. La collaborazione tra imprese tecnologiche, istituti di ricerca e centri di innovazione materiali rappresenta un modello di intervento efficace per affrontare le sfide ambientali nel settore biofarmaceutico.

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Di Fantasy

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