Boise State punta alla standardizzazione dei test biomeccanici con un nuovo tool 3D stampato
La Boise State University sta sviluppando un dispositivo 3D stampato per rendere più accurati e ripetibili i test biomeccanici su piccoli campioni di tessuto. Il progetto è guidato da Trevor Lujan, professore e direttore del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Biomedica, e si inserisce in un percorso esplicito di trasferimento tecnologico sostenuto dal programma TRANSFORM Seed Grants, parte dell’Accelerating Research Translation (ART) della National Science Foundation. L’obiettivo dichiarato è arrivare al lancio commerciale del tool nel prossimo anno.
Perché serve un nuovo strumento per i test biomeccanici
La ricerca biomeccanica si basa su prove meccaniche su campioni di tessuto molto piccoli per capire come si deformano, quando cedono e come si rigenerano. In molti laboratori, questi provini vengono ancora preparati a mano, tagliando il tessuto con lame e maschere improvvisate. Ogni variazione nella forma, nello spessore o nell’allineamento introduce errori che possono compromettere l’intero set di dati: un solo provino tagliato male può alterare la curva sforzo–deformazione e rendere difficili il confronto tra studi e la definizione di standard condivisi. Lujan e il suo gruppo puntano a ridurre proprio questa variabilità di preparazione, che oggi è uno dei punti deboli strutturali dei test biomeccanici sui tessuti molli.
Un dispositivo 3D stampato pensato per la ripetibilità
Il dispositivo 3D stampato sviluppato a Boise State è pensato come un utensile dedicato alla preparazione dei provini: il campione viene posizionato e bloccato in una sede definita, mentre guide e riferimenti geometrici aiutano a ottenere sempre la stessa forma e dimensione, da un test all’altro e da un laboratorio all’altro. La scelta della stampa 3D permette di adattare rapidamente il design a tessuti, spessori o geometrie diverse, senza dover produrre attrezzaggi tradizionali ogni volta che cambiano i requisiti sperimentali. L’obiettivo è offrire un prodotto personalizzabile, accurato e accessibile e inserirlo in una futura famiglia di strumenti per la caratterizzazione meccanica dei tessuti.
Dal laboratorio al mercato: qualità e produzione in collaborazione con l’industria
Per trasformare un prototipo di laboratorio in un prodotto vendibile, il gruppo di Boise State collabora con Penumbra Consulting, realtà specializzata in additive manufacturing avanzata. Il suo ruolo è strutturare un sistema di gestione della qualità che assicuri tolleranze geometriche strette, tracciabilità e controlli ripetibili sui lotti prodotti. In parallelo, la produzione è pianificata con l’azienda dell’Idaho JawsTec, già attiva in servizi di stampa 3D per clienti industriali. L’infrastruttura di JawsTec – piattaforme online per la gestione dei file, parchi macchine su polimeri tecnici e procedure consolidate di controllo qualità – viene sfruttata per passare da piccole serie di prototipi a una fornitura scalabile per la comunità scientifica e clinica.
Il ruolo del programma NSF ART e della Boise State Office of Technology Transfer
Il progetto di Lujan rientra in una strategia più ampia di Boise State per valorizzare la ricerca applicata. L’università è una delle poche istituzioni statunitensi selezionate dalla National Science Foundation per il programma ART, che finanzia percorsi di traduzione accelerata della ricerca: fondi mirati a colmare il vuoto fra risultati scientifici e applicazioni utilizzabili da industrie, sanità o enti pubblici. Nel caso del tool biomeccanico 3D stampato, il programma TRANSFORM Seed Grants copre attività come la definizione dei requisiti regolatori, il disegno del percorso di proprietà intellettuale e la messa a punto delle procedure di qualifica del prodotto. L’Office of Technology Transfer dell’ateneo segue il team lungo il percorso brevettuale, con l’obiettivo di proteggere la tecnologia e facilitare eventuali licenze o la nascita di nuove iniziative imprenditoriali.
Verso una “cassetta degli attrezzi” standard per la biomeccanica dei tessuti
Il nuovo dispositivo viene presentato come il primo elemento di una futura serie di strumenti dedicati ai test sui tessuti. L’idea è che, invece di sviluppare ogni volta soluzioni ad hoc, laboratori diversi possano appoggiarsi a tool comuni, con specifiche condivise e procedure documentate. Questo approccio renderebbe più semplice confrontare risultati tra gruppi di ricerca, definire linee guida per la preparazione dei campioni e, a lungo termine, armonizzare parte della metrologia biomeccanica con criteri di qualità vicini a quelli di altri settori ingegneristici. In un contesto in cui stampa 3D, imaging e sensori avanzati stanno moltiplicando i dati disponibili su tessuti e impianti, poter contare su provini preparati in modo consistente diventa un fattore chiave per la validazione dei modelli e per il trasferimento verso applicazioni cliniche.
Micro- e fibra-stampa 3D per costruire tessuti direttamente nel corpo
Il lavoro di Boise State si inserisce in una tendenza più ampia che vede la stampa 3D assumere un ruolo crescente nella medicina di precisione. Alla University of Stuttgart una nuova junior research group guidata da Andrea Toulouse studia tecniche di micro- e fiber-based 3D printing che operano attraverso una fibra ottica sottilissima, con l’obiettivo di fabbricare strutture di materiale biocompatibile direttamente dentro il corpo. Il progetto 3DEndoFab (“3D Endoscopic Microfabrication”) combina competenze di ottica applicata, ingegneria dei materiali e biologia per sviluppare una testa di stampa miniaturizzata, grande quanto un granello di sale, in grado di controllare con precisione il fascio di luce e solidificare materiale con risoluzione micrometrica. Se queste tecnologie matureranno, potrebbero ridurre la necessità di impianti voluminosi e favorire interventi mirati in aree difficili da raggiungere.
Dalle cornee artificiali ai dispositivi endoscopici: l’esempio di Empa
Un altro tassello di questa evoluzione è il progetto sulle cornee artificiali 3D stampate portato avanti da Empa, in collaborazione con università e ospedali svizzeri e olandesi. Il team sta sviluppando un impianto corneale trasparente basato su un idrogel biocompatibile di collagene e acido ialuronico, pensato per essere auto-adesivo e privo di suture. La stampa 3D a estrusione permette di adattare la curvatura dell’impianto alla geometria dell’occhio del singolo paziente, con l’intento di chiudere difetti della cornea in modo preciso, riducendo la durata dell’intervento e il rischio di complicazioni post-operatorie. In prospettiva, il materiale potrà essere colonizzato da cellule staminali dell’occhio, così che l’impianto non sia solo un riempitivo strutturale ma un supporto attivo alla rigenerazione del tessuto danneggiato.
Una tendenza comune: più controllo, meno variabilità
Considerando insieme il tool biomeccanico di Boise State, la micro-stampa endoscopica di Stuttgart e le cornee stampate in 3D di Empa, emerge un filo conduttore: usare la stampa 3D per aumentare il controllo e ridurre la variabilità nei processi che collegano laboratorio e clinica. Nel caso di Boise State, il controllo riguarda la geometria dei provini e la qualità dei dati; per Stuttgart, la posizione del materiale depositato nel corpo; per Empa, la forma e le proprietà meccaniche di un impianto delicato come la cornea. In tutti e tre gli esempi, la stampa 3D non è solo un mezzo di fabbricazione, ma una piattaforma che integra materiali, ottica, biomeccanica e qualità, con l’obiettivo di rendere più prevedibili e misurabili i risultati della ricerca e delle terapie.
