RIcordiamo che la cosa importante è che gli ausili si potranno costruire sulle proprie esigenze
Stampo i miei ausili in 3D
La cronaca e i giornali ci hanno già parlato dell’uso delle stampanti in tre dimensioni per ricreare organi umani e protesi su misura. Per esempio si può stampare un cranio in plastica e impiantarlo. Utilizzi sperimentali e, in alcuni casi, d’impatto mediatico che però mostrano le potenzialità di questo strumento che lentamente sta prendendo posto anche nelle case degli italiani. Merito dei costi che si abbassano e dei software di gestione che si semplificano. Così le capacità delle stampanti 3D possono venire molto utili alle persone con disabilità per risolvere problematiche ben più quotidiane, come per esempio stamparsi delle piccole rampe portatili per scavalcare un gradino o ausili per la propria autonomia come forchette o supporti per maneggiare uno spazzolino da denti. Piccoli oggetti, difficilmente acquistabili in commercio (Per farsi un’idea dei prodotti in commercio cliccare qui) perché fuori dalle misure standard che possono essere autoprodotti in casa. A costi relativamente bassi.
Un passo indietro è d’obbligo perché, pure essendo un oggetto di moda, la stampante 3D resta pur sempre uno strumento tecnologico poco conosciuto al grande pubblico. Tutti però hanno in casa una stampante tradizionale. Il funzionamento è simile. La stampante a colori attraverso dei micro ugelli spruzza sul foglio bianco una certa quantità di inchiostro che viene preso da vaschette contenenti i colori. Nelle stampanti in 3D casalinghe gli ugelli distribuiscono su un piano micro gocce di plastica fusa. E lentamente, goccia dopo goccia, l’oggetto prescelto prende forma (Ecco una breve spiegazione e un video). L’oggetto da stampare può essere progettato attraverso appositi programmi informatici (un esempio gratuito e facile da utilizzare Tinkercad) o può essere recuperato da archivi su internet che mettono a disposizione degli utenti i progetti in maniera gratuita o a pagamento (Qualche esempio di oggetti stampati e il funzionamento delle 3D Printer). Il costo della stampante parte dai 1.500 euro, mentre quello dei materiali è dai 20 ai 50 euro euro al chilo.
Avere una stampante 3D in ogni centro di terapia occupazionale o reparto di fisioterapia riabilitativa potrebbe quindi portare benefici concreti alle persone con disabilità permettendo di produrre e di insegnare a produrre ai disabili e ai loro caregiver oggetti a loro misura. Un esempio concreto è un progetto firmato dal Politecnico di Milano chiamato +Tuo. «L’idea è nata da una studentessa del corso di design industriale, Francesca Ostuzzi, dottoranda in design del prodotto – spiega Marinella Levi, professore associato al Politecnico di Milano -. L’idea era di progettare oggetti di uso quotidiano per le persone con malattie reumatiche. Sono nati tre oggetti: uno Svitatappi che ha ottenuto il primo premio alla categoria Ingegno alla Maker Faire 2013 di Roma, un Cursore da applicare alle zip per aprirle più agevolmente e un “Afferra cucchiaio” che consente di afferrare la posata con maggiore sicurezza». Un progetto che vede la partecipazione attiva della Associazione Lombarda Malati Reumatici (Alomar) e della sorella di Ostuzzi, Silvia, referente progetti di Ascolto Psicologico per Alomar , e della ricercatrice Valentina Rognoli. «Siamo partiti da questa malattia proprio per la conoscenza diretta che le ragazze avevano – prosegue Levi – ma siamo aperti a studiare soluzioni per altre disabilità. Magari trasferendo a operatori del settore – e da qui la collaborazione con l’associazione fisioterapisti delle Marche – il nostro sapere». I progetti, appena perfezionati saranno poi resi disponibili in un archivio pubblico dove chiunque potrà scaricarli, adattarli, migliorarli e stamparli.
«Disegnare con i programmi per le stampanti 3D – commenta Simone Majocchi, esperto di stampa 3D, maker e divulgatore – è un po’ come giocare con il Lego. All’inizio si assemblano tra loro forme tridimensionali fino ad ottenere l’oggetto voluto». Ma c’è di più: “la stampa 3D è per alcuni una nuova forma espressiva, come potrebbe essere la musica. Perché uno possa scoprire la propria vocazione, è però necessario che possa provare a “suonare” lo strumento stampante 3D, magari facendo i primi passi con un workshop o un corso. Sono, infatti, in tanti a non sapere di essere portati per la creazione di forme e oggetti 3D. Una volta superato lo scoglio iniziale della presa di contatto, – un po’ come quando s’inizia a strimpellare la chitarra – si scopre rapidamente se c’è una vocazione per il 3D». Magari poi si aprono le porte di un lavoro in proprio, vendendo oggetti e progetti attraverso il web. Date uno sguardo a Imaterialize o a Shapeways.
di Simone Fanti da corriere.it