Francini (Fujitsu): “Prossimi tre anni cruciali per nuova rivoluzione industriale”
Nella tappa tricolore del World Tour il numero uno della filiale italiana accende i riflettori sul “potere” sempre più dirompente del digitale. Sensori e microchip pronti a cambiare definitivamente faccia alle “catene di montaggio”. Ma bisognerà fare i conti con un mercato sempre più globalizzato
“I prossimi tre anni saranno cruciali nel processo di rivoluzione industriale che hanno innescato le tecnologie digitali”. Ne è convinto Federico Francini, amministratore delegato di Fujitsu Italia che stamattina, durante la tappa tricolore del World tour (che impegna la multinazionale giapponese in 23 roadshow nei suoi principali mercati), ha annunciato l’apertura a settembre di un data center nella Penisola. Anche se non sono stati forniti ulteriori dettagli, Francini ha precisato che la struttura si integrerà nella global cloud platform di Fujitsu. L’annuncio è d’altra parte coerente con la filosofia che il colosso dell’Ict sta perseguendo con i propri partner – a partire da Intel – per offrire soluzioni ultraflessibili e senza vincoli architetturali in un mondo in cui l’Internet of things, con l’esplosione dei dati che ne consegue, è più vicino di quanto si creda. E, anche se a volte tendiamo a dimenticarcene, l’Italia è il secondo Paese europeo per capacità manifatturiera: se vuole continuare a esserlo, non potrà non tener conto dell’imminente necessità di iniettare sensori e microchip in quel che esce dalle catene di montaggio. Ma dovrà anche fare i conti con un mercato sempre più globale e clienti sempre più condivisi con partner e competitor, insieme ai quali sarà imprescindibile ideare nuovi sistemi di revenue.
Il tema portante dei lavori è stato proprio quello dell’inevitabile trasformazione che gli oggetti intelligenti comporteranno nei processi produttivi e nelle catene di creazione del valore. “Non stiamo vivendo una semplice tappa evolutiva, stiamo entrando in una nuova era industriale”, ha detto Francini, “un’era in cui chi si farà trovare impreparato rischierà il sorpasso da parte dei nuovi player capaci di sfruttare momenti transitori del mercato grazie al digitale. Bisogna cambiare il mindset e passare dal concetto di business model a quello di business moment, rovesciando il paradigma e cogliendo le opportunità del momento in funzione dei propri modelli di business e delle tecnologie”.
“Anche perché nei prossimi anni ci saranno sempre meno prodotti, a beneficio di un numero maggiore di servizi”, ha spiegato il futurista Vito Di Bari, tra i relatori dell’evento. “Banalmente, possiamo già pensare al modo in cui ormai siamo in grado di comprimere gli strumenti che prima componevano un intero ufficio in un laptop, o addirittura in uno smartphone. Ma a breve grazie al digitale, alle nanotecnologie e alla stampa 3D, vedremo ridursi drasticamente di numero anche altri oggetti. Non ci sarà più bisogno di acquistare un’automobile per l’uso quotidiano e una, per esempio, più potente per il tempo libero: sarà sufficiente scaricare con una app un programma capace di far erogare più cavalli alla vettura per un periodo di tempo limitato. Oppure si potrà cambiare il colore della carrozzeria con un semplice click”. L’altra questione è quella della delocalizzazione della produzione. In questo caso, però, Di Bari non parla di Paesi emergenti, ma di abitazioni private. “Gli oggetti di dimensioni contenute e realizzati con materie di base saranno prodotti direttamente a casa. In Corea sono già disponibili dei dispositivi che permettono di distruggere gli abiti disassemblandoli nei materiali che li compongono, cotone e osso nel caso per esempio di una camicia, e di ricostruirli con fogge e colori scelti dall’utente. Anche in questo caso possiamo immaginare nuovi tipi di servizi che portano valore: acquistando e scaricando i dati opportuni diventa possibile personalizzare gli abiti con il design delle griffe. Tutto ruoterà intorno alle nuove tecnologie”, chiosa Di Bari, “e in ciascuna azienda, a prescindere dal settore merceologico, il ruolo del Cio sarà sempre più fondamentale. Ma dovrà essere capace di lavorare a 360 gradi”.
Del resto chiunque voglia intraprendere nell’Ict oggi può farlo. Joseph Reger, che in Fujitsu è Cto a livello globale, ha spiegato che se nel 2000 erano necessari almeno 5 milioni di dollari per avviare una startup, nel 2011 ne erano sufficienti 5 mila. E questo grazie alle nuove tecnologie. “Citanto Bernard Shaw, direi che la tecnologia è la soluzione migliore per risolvere i problemi che causa”, ha detto Reger. “Viviamo in un mondo estremamente complesso, in cui è impossibile ricostruire da zero piattaforme, infrastrutture e grandi opere. Ma grazie all’Ict possiamo rendere efficienti i processi di manutenzione con risparmi per miliardi dollari all’anno. Va precisato però che le nuove tecnologie non sono la panacea, e bisogna diffidare di chi promette valore attraverso la semplice adozione di strumenti innovativi. Digitale e analytics abilitano la creazione di valore, trasformando l’informazione in conoscenza e l’efficienza in creatività, a patto però che si conosca bene il proprio business e si abbia un’idea sufficientemente precisa di come le tecnologie e i dati possano sostenerlo”.
di Domenico Aliperto da corrierecomunicazioni.it