Faber e Maker vedendoli ancora così semplici non abbiamo ancora capito l’enorme potenzialità insita in loro.
Per la serie: la crisi è asfissiante, e un lavoro bisogna inventarselo. Benvenuti nel mondo del Maker Movement, un esercito fatto da milioni di individui che quotidianamente sfidano il futuro creando innovazione fai da te. Non professionisti, per lo meno non sempre. Più precisamente hobbysti con una passione sfrenata per le nuove tecnologie. Sono, per definizione, gli artigiani digitali. Una categoria che cresce esponenzialmente, anno dopo anno.
Si ritrovano nei forum, fanno Rete, sviluppano nuovi modelli di open harware. E se provi a scavare fra le ancora poche statistiche che li riguardano, ti accorgi ben presto che i makers stanno dando vita a un nuovo settore dell’economia globale. Un settore fiorente che deve aver ingolosito finanche la Casa Bianca, dato che Obama ha deciso di inaugurare nel giugno 2014 la prima Maker Faire “made in America”. E a proposito di fiere, i numeri sono interessanti. Nel corso del 2013, ad esempio, ce ne sono state circa 100 in tutto il mondo. Eventi che hanno richiamato, secondo i dati raccolti, oltre 280mila persone, con un aumento del 62% rispetto a due anni prima.
Ma non ci sono solo i numeri relativi alle fiere a dirci che il Maker Movement è un fenomeno in gran salute. E’ emerso, per esempio, che gli abbonamenti ai magazine settoriali sta vivendo una crescita costante del 20%. Alla faccia della crisi dell’editoria. E’ stato stimato, inoltre, che il mercato delle stampanti 3D dovrebbe raggiungere una quota di mercato di 8 miliardi di dollari entro il 2020, con una domanda di prodotti stampati data in crescita del 20% ogni anno fino al 2017.
Ma chi sono veramente questi artigiani 2.0? La risposta più semplice arriva da un’infografica creata da “The Grommet”: siamo noi. O meglio, molti di noi. Secondo lo studio, il 57% della popolazione adulta degli Stati Uniti d’America può essere considerato maker. E fra stampanti 3d, hardware open source, laser e altri progetti fai da te, gli americani si aspettano che il crowdfunding innescato possa toccare quota 93 miliardi di dollari nel 2025. Intanto, il settore ha ingolosito le grandi aziende, che hanno deciso di investire in startup di open hardware 848 milioni di dollari nell’arco del 2013, raddoppiando gli investimenti dell’anno prima (fermi a 442). E poi – last but not least – i dati sull’occupazione. Il settore dei makers ha generato negli ultimi anni 8 milioni di posti di lavoro. Proprio mentre la hold economy, sempre secondo “The Grommet”, ne distruggeva 4 milioni.
In Italia
Quello che succede in Italia è decisamente interessante. Anche perché è tricolore uno dei progetti più interessanti del settore: Arduino. La piccola scheda elettronica più utilizzata dagli amanti dell’open source, è stata ideata e viene prodotta ad Ivrea, sede storica della gloriosa Olivetti. Grazie ad Arduino è possibile realizzare in modo piuttosto rapida e semplice piccoli dispositivi come controllori di luci, di velocità per motori, sensori di luce, temperatura e umidità e moltissimi altri progetti che utilizzano sensori, attuatori e comunicazione con altri dispositivi. Un’idea geniale, quella di Arduino. E non è un caso che Intel ci abbia messo gli occhi sopra, instaurando una partnership molto solida e distribuendo decine di migliaia di schede “Arduino Galileo” in tutto in mondo. Una partnership che vuol dire molto. Le big company, da Intel a Stm, hanno annusato il business. Il futuro in mano agli artigiani digitali ha potenzialità uniche. I makers non sono solo dei matti che passano troppo tempo in garage a studiare congegni futuristici. Fra di loro si nascondono le idee che cambieranno in mondo.
Biagio Simonetta da nova.ilsole24ore.com