Che cosa racconta la nuova rassegna scientifica. Un gruppo di ricercatori della Xi’an Jiaotong University e della China Academy of Space Technology (CAST) ha sintetizzato lo stato dell’arte della stampa 3D in microgravità e vuoto con polimeri e compositi rinforzati, evidenziando quando e come convenga produrre utensili, componenti e strutture direttamente in orbita. Il lavoro, presentato su ScienceDirect, è al centro dell’analisi.
Perché fabbricare in orbita ha senso (a determinate condizioni)
Ogni chilogrammo lanciato costa, e i limiti del fairing impongono compromessi su dimensioni e geometrie. Portare in orbita una capabilità additiva consente di:
-
tagliare la massa di scorte e attrezzaggi;
-
superare i vincoli geometrici del lancio;
-
adattare design e riparazioni in missione.
Il quadro si è chiarito con le prove svolte in volo parabolico, in camera da vuoto e a bordo della ISS. I dati raccolti indicano dove l’AM polimerica tiene e dove richiede accorgimenti di processo.
Microgravità: FFF resta la via più robusta
La rassegna conferma che l’estrusione di filamento (FFF) è la tecnica più gestibile in assenza di gravità. Test su ABS a bordo ISS hanno mostrato resistenze e moduli comparabili alla stampa a terra; prove ESA/DLR su PLA in volo parabolico hanno misurato strati leggermente più spessi in 0g, senza penalizzare la resistenza a trazione. Il punto critico non è tanto la meccanica del pezzo quanto la continuità del cordone: la distanza ugello-substrato e la tensione superficiale dominano il regime di deposizione.
Vuoto: controllo termico e qualità d’interfaccia
In vuoto sparisce la convezione: raffreddamento e gradiente termico cambiano. Soluzioni di testa di stampa con heat break in titanio e alettature radiative hanno dimostrato stabilità anche oltre 390 °C su PEI/PEKK, mentre prove su PEEK a ~100 Pa hanno rilevato differenze direzionali nelle proprietà per via della porosità nei compositi a fibra corta. Qui contano: gestione del calore, sovrappressione locale all’estrusione e strategie per ridurre le cavità chiuse.
Materiali “spaziali”: non basta la resistenza, serve anche “non sporcare”
Le parti destinate all’ambiente spaziale devono rispettare i limiti NASA su outgassing (TML < 1% e CVCM < 0,1%): polimeri come PEI/Ultem e PEKK rientrano tipicamente nelle soglie, mentre alcune poliammidi superano i limiti e richiedono formulazioni dedicate. Questo filtro condiziona la distinta base di una stampante “di bordo” tanto quanto le prestazioni meccaniche.
Casi d’uso concreti: dalle schermature debris alle travi deployable
Nel panorama strutturale emergono due filoni:
-
Schermature anti-detriti a densità variabile in Ultem con pannelli interni inclinati per deflettere la nube d’impatto;
-
Travi reticolari fabbricate e assemblate in orbita con tape termoplastici rinforzati o con processi di deposizione/pultrusione.
Qui ricorrono attori industriali noti: Redwire (erede di Made In Space) per i dimostratori OSAM e Tethers Unlimited per architetture SpiderFab e dispositivi Refabricator/Recycler.
Economia circolare “on-orbit”: stampa e riciclo nella stessa macchina
A bordo ISS, il Refabricator di Tethers Unlimited ha dimostrato un ciclo chiuso su Ultem 9085: i provini stampati vengono macinati, rifusi e ri-estrusi in filamento per nuovi pezzi, con monitoraggio della degradazione meccanica lungo i cicli. Per missioni di lunga durata, la rigenerazione di materia prima diventa parte integrante della logistica di bordo.
Che cosa serve per fare il salto di scala
Secondo gli autori, quattro aree vanno presidiate per trasformare i prototipi in capabilità operative:
-
Simulazioni che combinino microgravità, vuoto, ossigeno atomico e radiazione con dati di lunga esposizione;
-
Progettazione strutturale mirata alla rigidezza in 0g e alla deformazione termica;
-
Robotica di assemblaggio per tralicci e pannelli di grande formato;
-
Multi-materiale e integrazione funzionale (conduttori, schermature EM, passaggi fluidici).
Dove si incastra la filiera: agenzie, aziende, università
-
NASA: programmi In-Space Manufacturing e percorso OSAM (il progetto OSAM-2 è stato chiuso prima del volo, ma i deliverable tecnici restano patrimonio per iniziative future).
-
Redwire/Made In Space: sviluppo di stazioni AM e assemblaggio di strutture in orbita.
-
Tethers Unlimited: Refabricator e filone SpiderFab per reticoli e bracci.
-
ESA/DLR: campagne di volo parabolico e test su processi e materiali (dalla biostampa a nuove ottiche).
-
Xi’an Jiaotong University e CAST: revisione scientifica su polimeri/compositi e linee guida di processo.
Linee guida operative per una “stampante 3d a bordo”
-
Processo: FFF con filamento solido e cinematica ben controllata; tolleranze di Z-offset strette; monitoraggio del cordone.
-
Testa di stampa: all-metal con break termico efficace e gestione radiativa del calore; sensori di temperatura su ugello e feedstock.
-
Materiali: preferenza a PEI/PEKK/PEEK e loro compositi che rispettano ASTM E595; uso di tape o fibre corte dove serve rigidezza specifica.
-
Qualifica: provini di controllo stampati insieme alle parti; archiviazione dati (parametri, telemetria termica) per la tracciabilità.
-
Riciclo: integrazione di un ciclo triturazione-estrusione con verifica periodica delle proprietà meccaniche.
Implicazioni per missioni e satelliti
-
Stazioni e cargo: parti di interni, staffaggi, condotti e attrezzaggi ridisegnati per la fabbricazione on-demand.
-
Strutture dispiegabili: travi e scudi debris fabbricati/assemblati in sito, con riduzione di massa al lancio e maggiore libertà geometrica.
-
Lunga durata: riciclo come elemento logico del manifest e scelte progettuali orientate a riparabilità e ri-fabbricazione.
Aziende e organizzazioni citate nel pezzo
NASA, Redwire / Made In Space, Tethers Unlimited, European Space Agency (ESA), DLR – German Aerospace Center, Xi’an Jiaotong University, China Academy of Space Technology (CAST).
La produzione additiva in orbita con polimeri e compositi non è un semplice “esperimento”: tra dati di microgravità, strategie termiche per il vuoto, criteri di outgassing e casi d’uso già dimostrati (schermature, tralicci, riciclo), esiste una base tecnica che permette a agenzie e industria di pianificare capabilità reali. Il passo successivo riguarda durabilità a lungo termine, autonomia di processo e integrazione robotica per passare dal pezzo singolo a sistemi complessi fabbricati in orbita.
