Dai rifiuti a parti utili: dentro il progetto “container” dell’Air Force con re:3D

Un laboratorio mobile in due container per stampare in 3D direttamente sui siti operativi
L’Aeronautica degli Stati Uniti ha testato a Cannon Air Force Base (New Mexico) un sistema di produzione additiva racchiuso in due container: trituratore, essiccatore e una Gigabot X a estrusione di granuli/flake permettono di trasformare scarti plastici della base in utensili e parti funzionali. L’unità è progettata per funzionare off-grid con generatore o micro-eolico, riducendo dipendenza dalla supply chain esterna e tempi di approvvigionamento. Il dimostratore è stato sviluppato da re:3D, con il supporto dell’Air Force Rapid Sustainment Office (RSO) e del suo Advanced Manufacturing Program Office (AMPO).

Dal rifiuto al pezzo: flusso di processo e materiali
Il processo parte dal censimento degli scarti (audit) per capire quali plastiche sono più comuni in base; gli scarti vengono triturati, essiccati e alimentati alla Gigabot X che stampa direttamente da granuli o scaglie (FGF—fabbricazione granulare fusa). In prova è stato riciclato soprattutto PLA, ma la piattaforma può lavorare miscele e ugelli di diverso diametro per bilanciare velocità e qualità. Questo approccio evita la rigranulazione in filamento, riduce costi e consente l’uso di flake locali, a patto di un’adeguata preparazione del materiale.

Dimostrazioni pratiche: droni e utensili per la manutenzione
Il team della base, addestrato insieme a re:3D e all’AMPO, ha stampato e fatto volare telai di droni completamente riciclati; dopo iterazioni su peso e controllo, i prototipi hanno dimostrato stabilità in volo indoor. Sono stati inoltre realizzati fascette fermacavo, cunei ferma-ruota e una chiave per fusti da 55 galloni provata in officina idraulica, con prestazioni ritenute idonee per un uso quotidiano in Composite Tool Kits (CTK). La scelta di casi d’uso “non flight-critical” è coerente con la strategia AM dell’Air Force per accelerare adozione e ritorno operativo su attrezzaggi, dime, utensili e parti non qualificate.

Percorso di finanziamento e scalabilità del concetto
Il programma nasce da una Fase I SBIR (Small Business Innovation Research) mirata all’analisi dei rifiuti plastici nelle installazioni e prosegue con una Fase II SBIR che finanzia la realizzazione dell’unità containerizzata e la formazione in base. La portabilità consente di spostare il laboratorio dove serve (esercitazioni, basi avanzate, missioni di risposta), mantenendo standard di processo e replicabilità. L’obiettivo è validare un modello scalabile per più basi, interoperabile con le iniziative RSO su workflow e condivisione di progetti.

Cos’è Gigabot X e perché la scelta FGF conta
La Gigabot X (oggi Gigabot X 2) è una stampante large-format a estrusione di pellet/flake: architettura open-source, controllo a 32-bit, firmware Klipper su Raspberry Pi, ugelli configurabili (es. 0,8–3 mm) e interfaccia Mainsail. Stampare da granuli/flake accelera la deposizione rispetto al filamento e riduce il costo materia prima, aprendo alla lavorazione di scarti locali adeguatamente preparati (pulizia, vagliatura, essiccazione). Il concetto containerizzato—che re:3D chiama Gigalab—integra triturazione, drying e stampa in un’unica piattaforma mobile off-grid.

Impatto su prontezza operativa e sostenibilità
La manifattura “waste-to-tool” on-site consente di: (1) accorciare lead time, producendo subito attrezzaggi e ricambi non critici; (2) ridurre costi di materiali e logistica; (3) valorizzare scarti plastici, contribuendo a obiettivi ambientali; (4) addestrare il personale alla produzione additiva con cicli chiusi e tracciabili. In parallelo, l’RSO mette a disposizione un AM Innovation Hub per condividere progetti e best practice su tool, fixture e altre parti non qualificate, favorendo la diffusione del modello.

Sfide aperte: qualità del materiale, proprietà meccaniche, qualificazione
L’uso di plastica riciclata comporta variabilità (contaminanti, umidità, curve di reologia) che influisce su porosità, adesione tra strati e resistenza. Servono protocolli di preparazione (pulizia, granulometria, drying) e metodiche di test coerenti con gli standard. La scelta di casi d’uso non aeronautici critici è corretta per maturare processi e dati, mentre l’evoluzione verso componenti soggetti a qualifica richiederà specifiche materiali e piani di certificazione concordati con gli enti tecnici dell’Air Force.

Prospettive: energia rinnovabile e integrazione con altri programmi AM
Il container è predisposto per generatori e può integrarsi con rinnovabili (es. eolico), rendendo il laboratorio adatto a scenari expeditionary. In futuro, i flussi “waste-to-parts” potrebbero connettersi a iniziative Air Force/DoD su standard di dati, cataloghi parti AM e riuso di materiali per ampliare l’impatto su costi, tempi e sostenibilità.

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Di Fantasy

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