Un nuovo PEG stampabile in 3D: dalla University of Virginia un materiale elastico e biocompatibile
Un gruppo di ricercatori della University of Virginia ha sviluppato un nuovo materiale a base di polietilenglicole (PEG) che unisce tre caratteristiche spesso difficili da ottenere insieme: elevata deformabilità, stampabilità in 3D e compatibilità con le cellule. Il materiale nasce nel Soft Biomatter Laboratory guidato da Liheng Cai, è descritto sulla rivista Advanced Materials e apre scenari sia per la medicina rigenerativa sia per dispositivi come elettroliti solidi per batterie.
Il contesto: perché il PEG è importante ma di solito fragile
Il PEG è già ampiamente usato in biomedicina: si trova in rivestimenti per nanoparticelle, idrogel per ingegneria tissutale, matrici per rilascio controllato di farmaci ed è studiato come elettrolita polimerico per batterie allo stato solido. Nella maggior parte delle formulazioni, tuttavia, le reti di PEG si ottengono incrociando catene lineari in ambiente acquoso e successiva essiccazione: il risultato è una struttura cristallina e fragile, che si rompe facilmente quando viene stirata. Proprio questa combinazione – diffusione d’uso e limiti meccanici – ha spinto il gruppo di Cai a ripensare il modo in cui si costruisce il network polimerico.
Dal PEG lineare al design “foldable bottlebrush”
La chiave del nuovo materiale è l’adozione di una particolare architettura molecolare: i “foldable bottlebrush polymers”. Invece di usare semplici catene lineari, le catene di PEG vengono organizzate come un “pennello a bottiglia”, con una catena principale sulla quale sono innestate molte catene laterali flessibili.
In questa geometria, il backbone centrale può ripiegarsi su sé stesso come una fisarmonica e riestendersi quando il materiale viene caricato. Il network riesce così a immagazzinare “lunghezza nascosta” e a rilasciarla durante la deformazione, ottenendo un materiale che rimane elastico senza bisogno di solventi e che non cristallizza come i PEG tradizionali. L’approccio si basa su anni di lavoro del gruppo di Cai sulle reti bottlebrush, e qui viene applicato in modo mirato a reti a base PEG pensate per applicazioni mediche ed energetiche.
Sintesi rapida in luce UV e compatibilità con la stampa DLP
Dal punto di vista di processo, il lavoro punta su una chimica semplice e scalabile: le nuove reti vengono formate tramite fotopolimerizzazione rapida, in pochi secondi, di precursori commerciali in aria ambiente usando luce UV. Questo rende il sistema compatibile con tecniche di stampa 3D a proiezione come la Digital Light Processing (DLP), in cui un proiettore definisce strato per strato la geometria del pezzo.
In funzione della formulazione e delle condizioni di processo, lo stesso sistema chimico può dare origine a idrogeli soffici oppure a elastomeri privi di solvente, mantenendo comunque elevata estensibilità e un controllo piuttosto fine delle proprietà meccaniche.
Prestazioni meccaniche: reti PEG che si allungano molto più del solito
Le reti PEG tradizionali mostrano un compromesso stretto tra rigidità e allungamento a rottura: aumentando i punti di incrocio, il materiale diventa più rigido ma anche più fragile. Con l’architettura bottlebrush, la deformazione a rottura aumenta perché il backbone ripiegato si dispiega progressivamente sotto sforzo, mentre le catene laterali contribuiscono a modulare la rigidezza.
Il risultato è un PEG che può sopportare deformazioni molto più elevate rispetto alle reti convenzionali, pur mantenendo un modulo elastico significativo. In altre parole, si ottiene un materiale capace di essere allo stesso tempo morbido, resistente e in grado di recuperare la forma dopo grandi allungamenti.
Dall’idrogel all’elastomero: un’unica base per più applicazioni
Un aspetto centrale del lavoro della University of Virginia è la possibilità di ottenere, a partire dalla stessa base chimica, sia idrogeli altamente idratati sia elastomeri secchi.
In ambiente ricco d’acqua, le reti PEG funzionano come scaffold soffici, adatti a imitare tessuti molli e a supportare la crescita cellulare. Modificando la composizione o riducendo il contenuto di solvente, il network si comporta invece come un elastomero solido, flessibile e resistente, interessante come substrato per dispositivi impiantabili o come elettrolita polimerico in batterie allo stato solido.
Questa “doppia natura” consente di progettare componenti stampati in 3D dove regioni diverse combinano ruoli meccanici ed elettrici, mantenendo continuità chimica all’interno della stessa parte.
Biocompatibilità e prove con cellule: verso la medicina rigenerativa
Per valutare l’impiego del nuovo PEG come materiale per ingegneria tissutale, il gruppo di ricerca ha condotto test di citotossicità e di vitalità cellulare, sia con estratti del materiale sia con colture a contatto diretto con gli idrogeli. I risultati indicano una buona tolleranza cellulare, compatibile con l’uso come scaffold o matrice di supporto in costrutti tridimensionali.
Questo rende il sistema interessante per applicazioni quali patch per tessuti molli, supporti che devono aderire a superfici in movimento (ad esempio su cuore o vasi) o sistemi di rilascio di farmaci integrati in strutture che devono sopportare deformazioni ripetute senza degradarsi meccanicamente.
Elettroliti polimerici estensibili per batterie allo stato solido
Il progetto UVA ha un secondo pilastro nel campo dell’energia. Le reti PEG bottlebrush mostrano proprietà promettenti come elettroliti solidi, combinando deformabilità e una conducibilità ionica adatta al funzionamento a temperatura ambiente.
Per batterie allo stato solido e dispositivi elettrochimici flessibili, la possibilità di avere elettroliti che non si fessurano sotto cicli di carico e scarico, variazioni di volume o micro-movimenti interni è particolarmente rilevante. Un elettrolita elastico e stampabile permette di immaginare celle con geometrie non convenzionali, ad esempio conformabili ai contorni di un dispositivo indossabile o integrabili all’interno di impianti medicali.
Implicazioni per la produzione additiva di materiali morbidi
Dal punto di vista della produzione additiva, la dimostrazione di un PEG altamente estensibile, fotopolimerizzabile in tempi brevi e compatibile con la stampa DLP offre un riferimento utile per altri sistemi. La possibilità di codificare le proprietà meccaniche direttamente nell’architettura molecolare – e non solo nella geometria del pezzo o nel pattern di riempimento – avvicina la stampa 3D alla progettazione multiscala, dalla molecola alla macrostruttura.
Il lavoro della University of Virginia mostra che intervenendo su architetture come i bottlebrush si possono superare limiti considerati strutturali delle reti polimeriche tradizionali, mantenendo processi e precursori compatibili con ambienti di laboratorio e, potenzialmente, con una futura produzione industriale.
Prospettive: organi artificiali, dispositivi impiantabili e oltre
Guardando alle applicazioni future, i ricercatori indicano due direzioni principali. Da un lato, la medicina rigenerativa e i dispositivi impiantabili, dove un materiale morbido, elastico, biocompatibile e stampabile in 3D può diventare base per patch tissutali, supporti per la rigenerazione e sistemi di rilascio farmaco posizionati esattamente nella zona di interesse.
Dall’altro, le batterie allo stato solido e l’elettronica flessibile, in cui elettroliti polimerici estensibili e resistenti possono facilitare la realizzazione di celle più sicure, sottili e sagomate su geometrie non standard.
In prospettiva, il concetto di bottlebrush ripiegabile non è limitato al PEG: la stessa logica può essere applicata ad altre famiglie polimeriche, suggerendo una strategia generale per progettare materiali stampabili in 3D che uniscano meccanica avanzata e funzionalità, dalla biomedicina all’energia.
