Cosa è successo davvero e cosa c’entra (davvero) la stampa 3D del cibo

Un audio interno che diventa un caso globale

Il punto di partenza dello scandalo è una causa civile: l’ex analista di cybersecurity Robert Garza ha citato in giudizio Campbell’s, allegando alla documentazione un’audio-registrazione di circa un’ora. In quella conversazione, il vicepresidente dell’area IT e responsabile della sicurezza informatica, Martin Bally, si lascia andare a una lunga invettiva contro i prodotti dell’azienda, i clienti che li acquistano e alcuni colleghi. Nel dialogo emergono insulti verso i consumatori, descritti come persone povere che comprano cibo poco salutare, e commenti offensivi verso dipendenti di origine indiana. L’audio è uscito rapidamente dalla dimensione interna per trasformarsi in un caso di immagine che riguarda qualità del cibo, fiducia nei marchi e uso di tecnologie emergenti come la stampa 3D.

Chi è Martin Bally e perché le sue frasi hanno avuto tanto impatto

Martin Bally non è un responsabile di produzione o di ricerca alimentare: il suo ruolo è legato ai sistemi informativi aziendali e alla sicurezza. Proprio per questo le sue dichiarazioni non rappresentano una “soffiata” tecnica dall’interno degli stabilimenti, ma l’opinione di un dirigente che non si occupa direttamente di ingredienti e processi. Nella registrazione, tuttavia, il tono sicuro con cui parla dell’origine della carne e della presunta “carne bioingegnerizzata” ha dato a molti ascoltatori l’impressione di trovarsi davanti a una rivelazione di prima mano. La combinazione di tensione interna, linguaggio aggressivo e accuse legate a temi sensibili – qualità del cibo, condizioni economiche dei clienti, razzismo – ha reso l’episodio perfetto per diventare virale.

La frase sul “pollo stampato in 3D” e l’accusa di carne “bioingegnerizzata”

Nel cuore della polemica ci sono poche frasi, ma molto forti. Nel passaggio più citato, Bally dice che non vuole mangiare “un pezzo di pollo uscito da una stampante 3D” e collega i prodotti Campbell’s a “bioengineered meat”. Il riferimento alla stampa 3D è particolarmente specifico: non parla genericamente di “carne finta”, ma di pollo stampato in 3D, evocando un’immagine di produzione industriale artificiale, poco comprensibile per il consumatore medio. Da quel momento l’etichetta “3D printed chicken” è rimbalzata nei titoli di giornale e nei social come se si trattasse di un fatto accertato, quando in realtà nasce da un commento informale, inserito in uno sfogo personale, senza alcun riscontro tecnico o documentale.

La reazione di Campbell’s: smentita netta e pagina dedicata sul sito

Di fronte al clamore mediatico, Campbell’s ha reagito in tempi brevi. L’azienda ha innanzitutto confermato che la voce nella registrazione corrispondeva a quella di Bally e ha definito le sue affermazioni offensive, false e in totale contrasto con i valori aziendali. Contestualmente ha chiarito che Bally non faceva più parte dell’organico. In parallelo, Campbell’s ha pubblicato una scheda informativa e aggiornato la sezione FAQ del sito istituzionale con una domanda esplicita: “Il pollo Campbell’s è stampato in 3D?”. La risposta è altrettanto esplicita: l’azienda afferma di non usare pollo stampato in 3D, pollo coltivato in laboratorio né qualsiasi forma di carne artificiale o bioingegnerizzata nei propri prodotti. La comunicazione insiste anche sul fatto che il pollo proviene da fornitori statunitensi approvati dall’USDA, all’interno del normale quadro regolatorio per la sicurezza alimentare.

“100% pollo reale”: dove finiscono i fatti e dove iniziano le paure

Nel materiale informativo diffuso in questi giorni, Campbell’s sottolinea di usare “100% real chicken” nei propri prodotti e ribadisce più volte che non esiste alcun legame con pollo stampato in 3D o carne coltivata. Allo stesso tempo, la comunicazione aziendale distingue tra la carne di pollo e altri ingredienti presenti nelle zuppe, come mais o soia, che possono provenire da colture geneticamente modificate ma che, per legge, devono essere etichettate come tali. In altre parole, la discussione su “bioengineered meat” viene ricondotta al contesto più ampio degli OGM vegetali, già regolati e presenti da anni in molte filiere alimentari. Il contrasto fra questa impostazione e il linguaggio allarmistico dell’audio ha però alimentato l’idea che ci sia qualcosa di nascosto, anche se le informazioni ufficiali disponibili non indicano l’uso di tecnologie estreme o sperimentali nella carne utilizzata per le zuppe in scatola.

L’intervento della Florida e il tema della carne coltivata vietata nello Stato

La vicenda ha assunto una dimensione politica quando il procuratore generale della Florida ha annunciato un’indagine sui prodotti Campbell’s. In questo Stato esiste un divieto esplicito sulla vendita e la produzione di carne coltivata in laboratorio, introdotto nel 2024. Di fronte a un audio che sembra parlare di carne “bioingegnerizzata” e pollo stampato in 3D, le autorità hanno dichiarato l’intenzione di verificare se le leggi locali siano state rispettate. In alcune dichiarazioni pubbliche è stato ribadito che in Florida non è ammessa la carne coltivata e che eventuali violazioni saranno contrastate con decisione. Anche in questo caso, però, le informazioni rese disponibili da Campbell’s indicano che non viene utilizzata carne coltivata, e l’attenzione delle autorità appare legata soprattutto alla dimensione simbolica del caso e al dibattito più ampio sulle nuove forme di proteine animali.

Dove si colloca Campbell’s nel mondo delle proteine alternative

Il collegamento tra Campbell’s e il settore delle proteine alternative esiste, ma segue strade più tradizionali rispetto alla stampa 3D del cibo. L’azienda possiede Pacific Foods, marchio specializzato in zuppe, brodi e bevande vegetali. Inoltre, Campbell’s è stata fra le prime grandi aziende alimentari a unirsi a un’associazione di categoria dedicata ai prodotti plant-based, che riunisce produttori di alimenti a base vegetale. In passato il gruppo ha anche creato un fondo di venture capital, Acre Venture Partners, con l’obiettivo di investire in startup food-tech e agro-tech orientate a sistemi alimentari più sostenibili e trasparenti. Si tratta quindi di un interesse verso l’innovazione alimentare, ma centrato su prodotti vegetali, miglioramento delle filiere e nuove tecnologie di coltivazione e trasformazione, non su pollo stampato in 3D destinato alle zuppe in lattina.

Che cosa sono davvero carne coltivata e “pollo stampato in 3D”

Per capire perché la frase di Bally abbia avuto tanta risonanza, è utile chiarire che cosa si intende con carne coltivata e carne stampata in 3D. In diversi Paesi si stanno sviluppando due linee principali: da un lato la carne coltivata, ottenuta facendo crescere cellule animali in bioreattori; dall’altro prodotti a base vegetale o ibridi, strutturati mediante estrusione o stampa 3D per imitare consistenza e forma della carne. Singapore ha approvato per prima la vendita di pollo coltivato, servito in ristoranti selezionati. Negli Stati Uniti, alcune aziende hanno ottenuto l’autorizzazione per proporre pollo coltivato in contesti limitati come locali e degustazioni dedicate. In parallelo, realtà come Steakholder Foods e Novameat lavorano su carne alternativa stampata in 3D, rispettivamente a partire da cellule coltivate e da miscele vegetali progettate per imitare la struttura fibrosa dei tessuti animali. Questo quadro mostra che la carne “stampata” esiste, ma in nicchie sperimentali o di piccola scala, lontane dalla produzione di massa di una grande multinazionale di zuppe in scatola.

Percezione pubblica e confusione tecnologica

Il caso Campbell’s mostra quanto sia facile che un riferimento impreciso a tecnologie emergenti si trasformi in un allarme sulla qualità del cibo. Molti consumatori hanno sentito parlare di bistecche stampate in 3D o di pollo coltivato in laboratorio, ma spesso non hanno chiaro in quali contesti queste soluzioni siano davvero in uso. In questo vuoto di conoscenza si inseriscono frasi come quella di Bally: un dirigente che parla di “pollo da stampante 3D” dà l’impressione di rivelare qualcosa che le aziende non vogliono dire, anche quando le verifiche indicano il contrario. Per chi si occupa di comunicazione sulla stampa 3D e sulle nuove tecnologie alimentari, episodi del genere sono un promemoria: senza spiegazioni chiare, la stampa 3D rischia di essere percepita come una tecnica oscura usata per “falsificare” il cibo, invece che come uno strumento con applicazioni ben definite e, al momento, lontane dalle zuppe industriali di un grande marchio tradizionale.

Immagine generata AI
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Di Fantasy

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