Swellcycle: una filiera più “leggera” per le tavole da surf, tra stampa 3D, scansione e materiali biobased

Il punto di partenza: come si costruiscono molte tavole “tradizionali” e dove si genera lo spreco
Nel surf, la sostenibilità non è un tema astratto: la tavola è un oggetto “di consumo” che nasce spesso da schiume di origine fossile e da processi che producono scarti. Nella produzione classica, il “blank” (il blocco di schiuma) viene sagomato asportando materiale: una quota significativa finisce come polvere e sfridi. In alcune stime riportate dalla stampa di settore, la lavorazione può portare a scarti intorno al 40% del materiale, un dato che aiuta a capire perché startup e laboratori stiano cercando alternative che riducano la rimozione di materiale e la logistica associata. Anche analisi di ciclo di vita e studi del settore evidenziano come resine, schiume e sprechi di lavorazione pesino in modo importante sull’impronta complessiva della tavola.

Chi è Swellcycle e cosa propone
Swellcycle è una realtà con sede a Santa Cruz (California) che applica la manifattura additiva a un prodotto complesso come la tavola da surf. L’idea è spostare il baricentro dalla sottrazione di materiale (sagomare un blocco) alla deposizione di materiale, così da controllare meglio la quantità di polimero impiegata e rendere più semplice la personalizzazione. Nel racconto che emerge dalle coperture stampa e dai contenuti aziendali, Swellcycle affianca alla stampa 3D anche attività di scansione 3D per digitalizzare tavole esistenti, oltre a progetti “oltre il surf” (sculture, installazioni e pezzi personalizzati).

Dalla forma digitale alla tavola: stampa, finitura e collaborazione con gli shaper
Un aspetto centrale del modello Swellcycle è la relazione con i “board shaper”: invece di sostituirli, il flusso può integrare la loro competenza. Secondo quanto riportato da una copertura televisiva locale, gli shaper forniscono i file di progetto che Swellcycle utilizza per “dare vita” alla tavola tramite stampa 3D; in alternativa la società può acquisire una tavola fisica con scansione e ricostruire il file. Dopo la stampa, la tavola viene laminata per renderla impermeabile e aumentare la resistenza; nella stessa copertura si cita l’uso di una resina epossidica con una quota biobased (30%). In questo modo, la parte additiva lavora sul cuore/struttura, mentre la laminazione resta un passaggio decisivo per prestazioni e durabilità.

Materiali: PLA, riciclo e la questione “biodegradabile”
In una parte della copertura stampa si parla di tavole stampate in 3D usando PLA (polylactic acid), un biopolimero spesso associato al concetto di compostabilità. Qui è utile distinguere tra “biobased”, “compostabile” e “biodegradabile in ambiente”: la letteratura tecnica indica che il PLA mostra biodegradazione efficace soprattutto in condizioni controllate (come il compostaggio industriale), mentre in ambienti marini o in compost domestico la degradazione può essere molto meno efficace. Tradotto in pratica: usare PLA può essere una scelta più coerente con filiere di recupero o compostaggio adeguate, ma non va interpretata come una licenza a disperdere materiale nell’ambiente. In parallelo, altre coperture mediatiche su Swellcycle riportano anche l’impiego di plastiche riciclate (ad esempio provenienti da vassoi o packaging medicale) in alcune linee o sperimentazioni, segnalando un approccio “ibrido” tra biopolimeri e riciclo.

Sostenibilità di filiera: meno sfrido, più controllo e produzione “vicina”
Quando si parla di “supply chain sustainability” nel surf, il tema non è solo la materia prima: contano anche trasporti, scarti, rilavorazioni e durata del prodotto. La stampa 3D, se progettata bene, può ridurre lo scarto legato alla sagomatura sottrattiva e rendere più semplice produrre on-demand, limitando sovrapproduzione e stock. Nel caso Swellcycle, l’attenzione si concentra su due leve: riduzione degli scarti di lavorazione rispetto alla sagomatura da blocco e possibilità di replicare e modificare forme tramite file digitali, accorciando iterazioni e spedizioni tra fasi di prototipazione. La scelta di lavorare con shaper che inviano file, o di acquisire tavole tramite scansione, va nella direzione di una “filiera digitale” dove parte del valore si sposta dal trasporto di semilavorati alla gestione di dati e specifiche.

Il cliente surfista: motivazioni ambientali, personalizzazione e cultura DIY
Nel racconto mediatico, l’interesse dei surfisti per la salute dell’oceano viene collegato alle scelte di acquisto. La stessa copertura descrive la collaborazione con shaper e la laminazione finale, sottolineando aspetti di resistenza riportati da addetti ai lavori. Swellcycle, inoltre, propone corsi dal vivo per imparare a stampare la propria tavola, un tassello che intercetta la cultura maker e l’idea di “partecipare” alla produzione, non solo comprarla.

Oltre le tavole: scansioni, arte e pezzi speciali
Un altro elemento che caratterizza Swellcycle è l’estensione del know-how verso oggetti non strettamente “sportivi”: artboards, sculture di grande formato e servizi di scansione e produzione per progetti creativi e brand. Anche la copertura stampa cita esempi di oggetti realizzati grazie alle capacità di scansione e produzione. Questo diversifica i ricavi e rende più sostenibile l’infrastruttura produttiva: la stessa capacità di stampa e acquisizione 3D può lavorare su più mercati, non solo su quello delle tavole da surf.

Dove si gioca la credibilità ambientale: misurazione, fine vita e compromessi
Nel mondo delle tavole da surf, la sostenibilità è spesso legata a materiali e processi che devono restare compatibili con prestazioni, riparabilità e durata. Programmi e comunità che promuovono certificazioni e analisi di ciclo di vita spingono a quantificare gli impatti e a ridurre il rischio di dichiarazioni non verificabili. Nel caso di soluzioni basate su PLA e laminazioni epossidiche, il bilancio dipende da più fattori: quota di materiale rinnovabile o riciclato, energia impiegata, durata reale della tavola, possibilità di riparazione e gestione del fine vita. I dati scientifici sulla biodegradazione del PLA ricordano che “compostabile” non equivale a “si degrada ovunque”, e che servono filiere adeguate per ottenere i benefici attesi.

Immagine generata AI
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Di Fantasy

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