Antenne satellitari che nascono piatte e si curvano da sole nello spazio
Portare in orbita grandi strutture come antenne paraboliche è costoso in termini di massa e volume occupato nel razzo. Un gruppo di ricerca della University of Illinois Urbana-Champaign ha sviluppato un composito “morfogenico” stampato in 3D che parte come una lastra piatta e, una volta attivato con un lieve apporto di calore, si trasforma in una superficie curva adatta a funzionare come riflettore satellitare. Il lavoro è guidato dal dottorando in ingegneria aerospaziale Ivan Wu e dal suo supervisore, il professor Jeff Baur, all’interno del Grainger College of Engineering e in collaborazione con il Beckman Institute.
Compositi in fibra continua stampati in 3D e resina “programmabile”
Alla base del sistema c’è un 3D printer a fibra di carbonio continua capace di depositare fasci di fibre sottili quanto un capello umano, con orientamento controllato sul piano di stampa. Durante la deposizione, questi fasci vengono compressi e illuminati con UV in modo da ottenere una pre-polimerizzazione: le fibre restano in posizione, ma il materiale è ancora abbastanza “vivo” da poter essere ulteriormente lavorato.
Su questo preformato di fibre viene poi colata una resina liquida ad alta efficienza energetica, formulata dai ricercatori del Beckman Institute come sistema “puro”, senza rinforzi aggiuntivi, in grado di attivarsi con un modesto incremento di temperatura. Il pannello piatto viene quindi congelato e conservato in questo stato finché non serve. Quando è il momento di dispiegarlo – per esempio una volta in orbita – è sufficiente un input termico relativamente basso per innescare la reazione chimica che fa “correre” un fronte di polimerizzazione attraverso il pezzo, trasformando la struttura in un componente tridimensionale irrigidito.
Polimerizzazione frontale: una “miccia” per strutture di qualsiasi dimensione
Il meccanismo di polimerizzazione frontale è il cuore del progetto. Invece di riscaldare l’intero pezzo in autoclave o in un grande forno, i ricercatori innescano una reazione esotermica che si propaga come un’onda, partendo dal bordo della struttura. Un piccolo trigger termico iniziale è sufficiente: l’energia rilasciata dalla reazione in un punto alimenta il segmento successivo, e così via, fino a completare la trasformazione del pannello piatto in una forma curva programmata.
Questa logica permette di svincolare la quantità di energia di innesco dalle dimensioni del pezzo: l’input iniziale può essere simile sia per un prototipo da laboratorio sia per un riflettore di grande diametro. È un aspetto particolarmente interessante per strutture spaziali, dove l’energia disponibile e i volumi per l’hardware di processo sono limitati.
Dal 2D al 3D: risolvere il problema inverso della forma
Uno degli aspetti più complessi del lavoro di Wu è la risoluzione del problema inverso: partire dalla geometria tridimensionale desiderata (per esempio una parabola per un’antenna) e calcolare quale pattern bidimensionale di fibre e tagli consentirà, dopo l’attivazione, di ottenere esattamente quella forma.
Per farlo, il ricercatore ha definito equazioni matematiche e sviluppato codice dedicato, in grado di generare disposizioni di fasci di fibra e traiettorie sul piano per diverse tipologie di superfici: un cilindro a spirale di Archimede, una striscia con torsione crescente, un cono, una sella e una parabola. Questo set dimostrativo evidenzia l’ampiezza dello spazio di forme ottenibili e, in particolare, l’interesse della parabola, direttamente collegata alle esigenze delle antenne satellitari dispiegabili.
Wu dichiara di essersi ispirato al kirigami, una variante dell’origami che integra tagli oltre alle pieghe. Invece di sommare un numero elevatissimo di pieghe per approssimare una superficie liscia (come farebbe un origami puro), il composito morfogenico utilizza l’orientamento controllato delle fibre e tagli mirati per generare curvature continue e regolari, adatte a riflettere segnali.
Compromesso tra grande deformazione e rigidità strutturale
Per permettere a queste strutture di passare da uno stato piatto a una forma fortemente curva senza fratturarsi, il team utilizza bassi tenori di volume di fibra. Con meno fibra il composito è più deformabile, quindi più adatto al morphing. Tuttavia, le strutture spaziali richiedono rigidezze elevate, e con pochi rinforzi fibrosi la rigidità finale non è ancora sufficiente per un uso diretto come componente di volo.
La soluzione proposta è sfruttare queste forme morfogeniche come stampi riutilizzabili in orbita: si parte dal gel piatto rinforzato con fibre, lo si porta nello spazio, lo si attiva per ottenere la forma desiderata (per esempio il profilo di un’antenna), e su di esso si laminano ulteriori strati di composito ad alta rigidità. Un secondo ciclo di polimerizzazione frontale permette di curare il laminato strutturale; una volta indurito, può essere staccato dallo stampo, che rimane integro e pronto per nuovi utilizzi.
Vantaggi per la logistica spaziale e possibili impieghi terrestri
Questo approccio permette di immaginare una catena logistica più leggera: si può lanciare un numero limitato di pannelli piatti programmabili e poi produrre nel vuoto strutture di grande dimensione, come riflettori, tralicci o gusci protettivi, utilizzando in situ il minimo hardware necessario per l’innesco termico. Per missioni di lunga durata o stazioni spaziali commerciali, la possibilità di produrre o sostituire antenne e strutture senza doverle lanciare già voluminose è un vantaggio evidente.
Gli stessi materiali e processi potrebbero trovare applicazione anche in ambienti remoti sulla Terra, per esempio basi scientifiche isolate o infrastrutture temporanee difficili da trasportare completamente assemblate. In questi scenari, moduli piatti, leggeri e impilabili potrebbero essere spediti con facilità e “attivati” in loco per ottenere coperture, parabole di comunicazione o strutture di supporto.
Inserimento nel quadro più ampio dei compositi in fibra continua stampati in 3D
Il lavoro di Wu e Baur si innesta in un panorama di ricerca più ampio sui compositi in fibra di carbonio stampati in 3D, dove si cerca di combinare le elevate prestazioni meccaniche dei laminati tradizionali con la libertà geometrica della manifattura additiva. Studi recenti mostrano che è possibile ottenere resistenze a trazione dell’ordine di centinaia di MPa e frazioni volumetriche di fibra significative, anche con processi di stampa di fibre continue o corte in matrici termoplastiche e termoindurenti.
In parallelo, il gruppo di Jeff Baur ha già evidenziato in altri lavori come la tecnologia di compositi a polimerizzazione frontale possa avvicinare le proprietà meccaniche dei pezzi stampati a quelle dei compositi aerospaziali tradizionali, riducendo i tempi e l’energia di processo. L’idea di combinare questa chimica con il deposito controllato di fibre continue aggiunge la possibilità di “programmare” non solo la forma finale, ma anche la risposta meccanica locale della struttura.
Prospettive della ricerca
Lo studio pubblicato su Additive Manufacturing con il titolo “Rapid forming of programmable shaped morphogenic composite through additive manufacturing and frontal polymerization” consolida questo approccio come una piattaforma sperimentale per future strutture spaziali dispiegabili. Il lavoro è supportato dall’Air Force Research Laboratory, segno di un interesse concreto verso applicazioni in ambito difesa e telecomunicazioni. La combinazione di bassa energia richiesta, modularità del processo e riutilizzabilità degli stampi apre la strada a ulteriori sviluppi su geometrie più grandi, integrazione di sensori e ottimizzazione multi-obiettivo tra rigidità, massa e cinematiche di dispiegamento.
