Piattaforma di bioprinting presso l’ANU
Presso l’Australian National University (ANU), il gruppo guidato dal professor Adam Perriman e dal dottor Peter Johnson ha messo a punto un sistema di stampa tridimensionale capace di impiegare bioink contenenti cellule vive. Questi materiali, simili a polimeri ad alta viscosità, vengono estrusi con stampanti modificate per mantenere la vitalità cellulare. Il primo adattamento di stampanti industriali per uso biologico risale al 2015, quando il team di ricerca – originariamente all’Università di Bristol – ha sperimentato l’inclusione di cellule nei flussi d’inchiostro, aprendo la strada a strutture tissutali complesse.

Composizione e controllo dei bioink
I bioink utilizzati dall’ANU combinano idrogel di origine vegetale con additivi sintetici in grado di garantire stabilità meccanica e nutrizione cellulare. Nel settore, realtà come BICO Group (nata come Cellink) e Organovo forniscono formulazioni standardizzate di bioink a base di alginato, collagene e fibrina, appositamente bilanciate per diverse tipologie di tessuto. Nel laboratorio di Chemistry and JCSMR dell’ANU, le ricette sono personalizzate per ottimizzare la proliferazione di linee tumorali, con regolazioni di pH e densità di cellule controllate da sensori integrati nella piattaforma di stampa.

Modelli tridimensionali di tumore
La principale applicazione riguarda la produzione di modelli di tumore umano in scala ridotta, ma riproducenti fedelmente l’architettura e l’eterogeneità cellulare presenti nel corpo. Questi modelli consentono di monitorare, in tempo reale, l’interazione tra cellule maligne e componenti del microambiente tumorale, offrendo un quadro più articolato rispetto alle tradizionali coltivazioni in due dimensioni. L’impiego di bioreattori automatizzati e di sistemi di imaging ad alta risoluzione permette di valutare efficacia e tossicità di nuovi composti in studio presso centri come AstraZeneca e Takara Bio, partner di diverse sperimentazioni condotte con bioink BICO.

Riduzione dei test su modelli animali
Ogni anno, oltre 200 milioni di animali vengono utilizzati negli esperimenti di laboratorio in tutto il mondo. Le strutture tridimensionali stampate all’ANU rappresentano un’alternativa etica ed economica: consentono di ridurre significativamente il ricorso a roditori e conigli per lo screening preclinico di farmaci oncologici. Il processo di bioprinting si integra con database di machine learning, similmente a quanto avviene nei progetti di Aspect Biosystems e Allevi, per predire l’andamento delle risposte cellulari e migliorare il disegno sperimentale.

Ambiti di ricerca aggiuntivi
Oltre all’oncologia, il team ANU esplora strategie per accelerare la rigenerazione cutanea tramite stampa di strati multipli di cheratinociti e fibroblasti. Collaborazioni con università come il Massachusetts Institute of Technology (MIT) e centri clinici permettono di testare in vitro strutture destinate alla riparazione di grandi ferite e ulcere croniche. Nel settore cosmetico, aziende come L’Oréal e Johnson & Johnson stanno valutando la possibilità di impiegare modelli bioprintati per simulazioni di irritazione cutanea e assorbimento di ingredienti, riducendo l’impiego di pelle animale.

Prospettive e sfide
Il passo successivo consisterà nel raffinare la vascolarizzazione dei tessuti stampati, indispensabile per ottenere organi funzionali in scala reale. Imprese come Organovo hanno già sperimentato la stampa di piccole strutture vascolari, ma la complessità di distribuire ossigeno e nutrienti su ampie superfici resta un ostacolo. Sul fronte regolatorio, autorità come la Therapeutic Goods Administration (TGA) australiana e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense stanno definendo linee guida per l’impiego clinico di prodotti bioprintati, aprendo la strada a future applicazioni terapeutiche.


 

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Di Fantasy

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