2026: dalla “possibilità” all’impatto misurabile nella manifattura additiva
Nel testo firmato da Brigitte de Vet-Veithen, CEO di Materialise, il 2026 viene descritto come un anno in cui la manifattura additiva (AM) viene giudicata meno per le promesse tecnologiche e più per risultati verificabili: tempi ridotti, continuità operativa, qualità ripetibile, valore economico su scala. L’idea centrale è che l’AM stia uscendo dalla fase in cui “si può fare” per entrare in quella in cui “si dimostra cosa produce”, con KPI leggibili anche fuori dal perimetro R&D.

Primo driver: contesto geopolitico ed economico, pressione sulle catene di fornitura
Il ragionamento parte da un dato di contesto: in presenza di instabilità (logistica, energetica, geopolitica), le aziende cercano leve che riducano dipendenze e aumentino la capacità di risposta. In questo scenario l’AM viene presentata come strumento per accorciare le supply chain e riportare parte della produzione vicino al punto d’uso, con l’obiettivo di gestire meglio scorte, tempi di approvvigionamento e variabilità della domanda.

Manutenzione e riparazione: Pratt & Whitney porta l’additivo nella strategia MRO
Tra gli esempi citati compare Pratt & Whitney (gruppo RTX) e l’uso di processi additivi in attività di Maintenance, Repair and Overhaul (MRO), integrati nella gestione di problemi ricorrenti su motori GTF (Geared Turbofan). Il punto non è “stampare un pezzo” ma costruire una procedura di riparazione che diventi parte stabile della manutenzione: qualifiche, controlli, tracciabilità e ripetibilità industriale. In parallelo, anche su Stampare in 3D sono presenti approfondimenti sulla riparazione di componenti GTF tramite manifattura additiva, con riferimento a tecniche come la Directed Energy Deposition (DED) nei programmi di ripristino di aree usurate.

Secondo driver: l’ingresso dell’AM nel “mainstream” grazie a FDM più accessibile
Il testo lega la crescita dell’adozione alla disponibilità di stampanti FDM più compatte e con qualità adeguata a molti contesti produttivi interni: prototipazione, attrezzaggi, piccole serie, parti non critiche e validazioni rapide. Questo passaggio sposta competenze e decisioni “dentro” le aziende: quando l’AM diventa uno strumento quotidiano, aumenta il numero di team che sanno preparare un file, capire vincoli, gestire iterazioni e ragionare per applicazioni, non per demo.

Formazione e accesso precoce: università, giovani ingegneri e creativi come moltiplicatori
Un altro punto è l’effetto scuola: laboratori universitari e accesso individuale all’AM creano familiarità con il design per additivo. L’impatto atteso non è astratto: chi impara presto a progettare con vincoli reali (supporti, orientamento, tolleranze, finitura) tende a portare quell’approccio nei reparti tecnici, accelerando la selezione di casi d’uso sensati quando entra in azienda.

AI e generative design: riduzione della barriera d’ingresso e workflow più guidati
De Vet-Veithen attribuisce un ruolo specifico a AI e strumenti di generative design: meno dipendenza da competenze ultra-specialistiche, più automazione delle ottimizzazioni e trasformazione di passaggi complessi in workflow operativi. In parallelo, Materialise insiste da tempo sullo spostamento dall’innovazione fine a sé stessa verso valore industriale e collaborazione lungo la filiera software–macchina–processo.

Insourcing + outsourcing: la “doppia modalità” diventa una scelta di portafoglio
Nel testo emerge una tesi operativa: molte aziende terranno in casa ciò che è rapido, ripetibile e a basso rischio (prototipi, piccole serie, urgenze), e si appoggeranno a partner specializzati quando servono scala, complessità, certificazioni o requisiti di compliance. Non viene presentato come aut aut, ma come gestione di portafoglio: decidere dove conviene internalizzare e dove conviene esternalizzare in base a qualità, rischio e responsabilità.

Sanità: laboratori interni, ma la scalabilità richiede qualità, compliance e sicurezza dei dati
Il settore medicale viene usato come caso “didattico”: molti ospedali hanno creato 3D lab interni, con clinici e ingegneri che collaborano su soluzioni patient-specific. Quando però il volume cresce, diventano centrali riproducibilità, conformità regolatoria e data security: temi che spesso spingono verso partner tecnologici con infrastrutture e sistemi qualità. Materialise, nei propri contenuti su point-of-care, insiste proprio sulla necessità di costruire processi che reggano audit e requisiti di qualità nel tempo.

Trasporti e ricambi: Deutsche Bahn come prova “su scala” di affidabilità e sostenibilità
Nel testo di 3Druck.com compare Deutsche Bahn come utilizzatore che combina stampa interna e partner esterni per supportare il servizio ferroviario. La metrica riportata è l’ordine di grandezza dei componenti prodotti in additivo (decine/centinaia di migliaia) e il fatto che l’AM venga impiegata per ridurre lead time e indisponibilità di ricambi. DB, nelle proprie pagine, indica che dal 2015 sono stati prodotti ben oltre 100.000 componenti in stampa 3D; fonti di settore riportano valori come oltre 150.000 pezzi per centinaia di applicazioni, e notizie 2025 parlano anche di soglie superiori in alcuni conteggi complessivi. Il punto industriale resta stabile: inventario digitale, produzione on demand, qualifiche e test prima dell’installazione, con benefici su disponibilità della flotta e gestione delle obsolescenze.

Cosa significa “scalare” nel 2026: processi, controllo e integrazione
Mettendo insieme i pezzi, la lettura per il 2026 è che “scalare” non coincida con comprare più macchine, ma con rendere industriale la catena: progettazione → preparazione → produzione → controllo qualità → documentazione → tracciabilità. È anche il terreno su cui aziende software come Materialise spingono piattaforme e strumenti per orchestrare workflow e conformità, mentre gli OEM e i service provider cercano modelli ibridi per servire sia esigenze interne sia programmi certificati.

 

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Di Fantasy

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