Mappare la fisica delle paste nella stampa 3D: il contributo di University of Hawaiʻi e dei partner

Una nuova rassegna scientifica, firmata da Alban Sauret (University of Maryland), Tyler R. Ray (University of Hawaiʻi at Mānoa) e Brett G. Compton (University of Tennessee), analizza in modo sistematico perché la stampa 3D con materiali “tipo pasta” sia ancora difficile da prevedere e controllare. Il lavoro, pubblicato su Annual Review of Fluid Mechanics, mette insieme decenni di studi su reologia, fluidodinamica e materiali soffici per costruire una sorta di “mappa della fisica” alla base del Direct Ink Writing (DIW).

Gli autori mostrano come, senza strumenti predittivi, gran parte della stampa 3D a pasta si basi ancora su tentativi ed errori: si cambiano viscosità, pressioni, velocità, finché il pezzo esce come si desidera. L’obiettivo dichiarato è sostituire questa pratica empirica con criteri quantitativi che colleghino composizione dell’inchiostro, geometria dell’ugello e finestra di processo in cui la stampa funziona in modo ripetibile.


Direct Ink Writing: cosa rende speciali le paste

Nel Direct Ink Writing l’inchiostro viene estruso attraverso un ugello, in modo simile alla decorazione di una torta: il materiale deve scorrere facilmente nel canale, poi fermarsi quasi subito dopo la deposizione, senza cedere né collassare. A differenza di un comune filamento termoplastico, qui la “pasta” è un fluido complesso a viscosità elevata, spesso caricato con particelle o fibre. Può essere un idrogel per tessuti artificiali, un impasto cementizio per edilizia, un inchiostro ceramico o un composito polimerico conduttivo.

Questi materiali hanno comportamento solido-fluido: si comportano come solidi elastici finché lo sforzo è basso, ma fluiscono come liquidi quando lo sforzo supera una certa soglia (stress di snervamento). Questa dualità è la chiave per ottenere pezzi che non colano, ma è anche la principale fonte di problemi: piccole variazioni di composizione, temperatura o velocità di stampa possono spostare il materiale fuori dalla finestra di processabilità.


I tre momenti critici che decidono il successo di una stampa DIW

La rassegna individua tre fasi in cui la fisica del materiale decide se la stampa riuscirà o meno: estrusione, uscita dal nozzle e comportamento dopo la deposizione.

  1. Flusso nel nozzle e intasamenti
    Nel primo tratto, l’inchiostro deve attraversare un ugello spesso dell’ordine di pochi centesimi di millimetro. Se la sospensione è troppo densa, o le particelle formano ponti vicino alla parete, si generano intasamenti che possono bloccare la stampa o danneggiare componenti cellulari, nel caso di bioinchiostri. Capire come stress di taglio, frazione solida e distribuzione granulometrica influenzino il rischio di clogging è uno dei punti centrali affrontati dagli autori.

  2. Uscita dal nozzle, coiling e rottura del getto
    All’uscita, il filamento può allungarsi in modo regolare, ma può anche rompersi in gocce, coiling o ondulare se la combinazione fra velocità, viscosità e tensione superficiale non è bilanciata. Per materiali viscoelastici si aggiunge la componente estensionale: la resistenza all’allungamento può stabilizzare il filo o, al contrario, generare instabilità. La revisione collega questi fenomeni a modelli già noti nella fluidodinamica dei getti viscoelastici, adattandoli alle scale tipiche della stampa 3D.

  3. Dopo la deposizione: cedimento, slumping e adesione fra strati
    Una volta depositato, il filamento deve essere abbastanza solido da reggere il proprio peso, evitando cedimenti e allargamento delle tracce, ma abbastanza fluido da aderire bene allo strato sottostante creando un corpo unico. Se lo stress di snervamento è troppo basso, il pezzo si deforma; se è troppo alto, gli strati restano poco legati fra loro e si formano difetti o porosità. Gli autori discutono come tempo di gelificazione, gradienti termici o fotoindurimento localizzato possano essere usati per modulare questa finestra.


Reologia delle paste: parametri chiave per progettare un inchiostro stampabile

Il lavoro sintetizza i principali parametri reologici che definiscono la stampabilità di un inchiostro DIW: stress di snervamento, comportamento shear-thinning, moduli elastico e viscoso e risposta estensionale. In pratica, un buon inchiostro deve avere viscosità alta a riposo, così da mantenere la forma, ma diminuire fortemente la viscosità quando viene sottoposto a taglio nel nozzle.

Gli autori richiamano anche studi che collegano quantitativamente questi parametri alla qualità del pezzo stampato, ad esempio correlando stress di snervamento e altezza massima stampabile prima del collasso, oppure viscosità estensionale e rischio di rottura del filo durante ponti e strutture a sbalzo. Questa impostazione apre la strada a vere e proprie mappe di processabilità, in cui un progettista può collocare il proprio inchiostro e capire se sarà adatto a un dato set di parametri macchina.


Inchiostri che induriscono “a comando” e ugelli progettati contro gli intasamenti

Una parte importante della rassegna è dedicata alle strategie per aumentare la finestra di processo. Da un lato, ci sono materiali che cambiano stato quando esposti a luce, calore o campi elettrici, permettendo di passare da una pasta morbida a una struttura portante in tempi controllati; dall’altro, geometrie di ugello e sistemi di alimentazione pensati per ridurre gradiente di pressione e punti di ristagno in cui le particelle possono accumularsi.

Vengono citati anche approcci che combinano la reologia delle paste con soluzioni di processo ibride, come l’estrusione assistita da gas o la co-estrusione di più materiali con funzioni complementari (supporto, rinforzo, conduzione elettrica). Questi filoni di ricerca mostrano come la linea di confine fra sviluppo di inchiostri e progettazione della macchina stia diventando sempre più sfumata.


Dal G-code al T-Code: come il software influenza la stampa delle paste

La rassegna collega il tema della reologia al controllo del processo, richiamando il lavoro del gruppo di Johns Hopkins University sulla nuova sintassi di programmazione Time Code (T-Code), pensata per gestire in modo più efficace teste di stampa complesse e inchiostri sensibili. In T-Code, le istruzioni non sono più legate a singole righe di G-code, ma a una timeline sincronizzata che coordina movimento, commutazione di materiali e variazioni di portata senza fermare la traiettoria.

Per il DIW questo approccio è particolarmente interessante: la possibilità di modulare in tempo reale pressione, temperatura o attivazione di sorgenti luminose consente, almeno in prospettiva, di chiudere il loop fra misure in linea (sensori di forza sull’estrusore, termocamere, profilometri) e regolazione istantanea dei parametri. In altre parole, la fisica descritta nella rassegna può diventare parte di algoritmi di controllo anziché restare solo teoria.


Applicazioni: dai tessuti artificiali alle strutture edilizie e all’elettronica tessile

Gli autori usano esempi di applicazioni DIW per mostrare quanto ampio sia l’intervallo di materiali coinvolti:

  • Tessuti e scaffold biologici
    Nel bioprinting, inchiostri a base di idrogel e cellule viventi richiedono stress meccanici contenuti per non danneggiare il contenuto biologico, ma devono comunque mantenere la forma tridimensionale una volta depositati. La rassegna collega questi vincoli alle proprietà viscoelastiche dei gel e ai tempi di gelificazione, con riferimento a patch tissutali e dispositivi bioelettronici morbidi stampati in 3D.

  • Calcestruzzi e paste cementizie per edilizia
    Per la stampa 3D di edifici o elementi strutturali, paste a base cementizia devono sopportare pesi elevati, con filamenti che restano stabili su altezze importanti e tempi di presa lunghi. Qui la sfida è combinare pompabilità e resistenza all’instabilità di buckling, oltre a gestire essiccamento differenziale e ritiro. La rassegna richiama lavori su geopolimeri, paste cementizie e materiali granulari prossimi alla soglia di jamming.

  • Elettronica flessibile e tessuti intelligenti
    Un caso emblematico è quello del gruppo KAIST e Sookmyung Women’s University, che ha sviluppato una piattaforma di e-textile in cui sensori e piste conduttive vengono scritti direttamente su tessuti tramite DIW, creando indumenti in grado di monitorare movimenti e parametri fisiologici. In questo contesto, stampabilità, adesione fibra-inchiostro e resistenza a cicli di piega ripetuti diventano parametri di progetto tanto importanti quanto la conducibilità elettrica.


Dalla ricerca all’industria: perché la fisica delle paste conta

Per le aziende che usano stampanti DIW – dai laboratori di ricerca ai produttori di componenti ceramici, elettronica flessibile o alimenti stampati – il messaggio della rassegna è chiaro: investire nella caratterizzazione reologica e nei modelli fisici può ridurre scarti, abbreviare le fasi di messa a punto e facilitare il trasferimento di processi da una macchina all’altra.

In prospettiva, la combinazione di mappe reologiche, sensori in linea e linguaggi di controllo avanzati come T-Code apre la strada a linee DIW più autonome, in cui il sistema sia in grado di riconoscere deviazioni dal comportamento atteso e correggerle in modo automatico, rendendo la stampa con paste una tecnologia più affidabile anche su scala produttiva.


Prospettive future

Gli autori concludono indicando alcune direzioni aperte: modelli in grado di prevedere il comportamento di inchiostri multicomponente a partire dalla sola formulazione; metriche standardizzate di printability che permettano di confrontare risultati ottenuti in laboratori diversi; e maggiore integrazione fra comunità di fluidodinamica, scienza dei materiali e progettazione di sistemi additivi. L’obiettivo è trasformare il Direct Ink Writing da tecnologia sensibile all’operatore a piattaforma di produzione con prestazioni prevedibili e certificabili.

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Di Fantasy

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