Diamanti e titanio per impianti “attivi”: cosa ha dimostrato RMIT
Un team della RMIT University, insieme all’Università di Sydney, ha realizzato un materiale composito 3D-stampabile a base di diamante e titanio che unisce robustezza meccanica e funzionalità elettroniche. Nei test di laboratorio il dispositivo ha generato cariche elettriche dal flusso di soluzione salina (effetto triboelettrico) e ha ricevuto alimentazione wireless attraverso 5 mm di tessuto, aprendo alla possibilità di impianti senza batteria per funzioni come sensori di flusso, drug-release e protesi intelligenti. Lo studio è stato pubblicato su Advanced Functional Materials il 24 settembre 2025.
Come funziona il composito diamante-titanio
Il gruppo guidato da Kate Fox (RMIT) e Arman Ahnood ha incorporato particelle di diamante semiconduttivo nella matrice di titanio: il diamante “trasforma” il titanio da materiale strutturale passivo a piattaforma attiva capace di scavenging energetico, sensing e ricezione di potenza, mantenendo biocompatibilità e resistenza. La fabbricazione è avvenuta tramite deposizione laser (sistema TRUMPF TruLaser Cell 7020), stampando anche geometrie complesse come bobine.
I numeri chiave riportati dai ricercatori
Nel lavoro vengono descritti: segnale elettrico misurabile con flusso salino a ~5 mL/s; trasferimento di potenza capacitivo a 20 MHz e 0,5 W sufficiente ad accendere un LED attraverso 5 mm di tessuto; bobine stampate con risonanza a ~825 MHz (Q≈118) e riscaldamento controllato (≈3 °C) a 1,14 GHz con 0,4 W, utile per applicazioni terapeutiche. Gli autori evidenziano che si tratta di risultati preliminari e richiedono test di durata e sicurezza in ambiente biologico reale.
Perché il diamante sugli impianti: il filone iniziato nel 2018
Il nuovo composito estende un filone già avviato a RMIT: nel 2018 il team di Fox mostrò che rivestire con nanodiamanti impianti in titanio prodotti via SLM favorisce l’adesione cellulare, la deposizione di minerale osseo e riduce la colonizzazione batterica, migliorando l’interfaccia osso-impianto. Quell’indicazione di “biocompatibilità attiva” fornisce il contesto per arrivare oggi a integrare nel materiale funzioni di sensing e harvesting.
Stato dell’arte e prossimi passi
La dimostrazione è in vitro su salina; serviranno studi su tessuti e modelli animali per confermare integrazione tissutale, stabilità delle proprietà elettriche (grafitizzazione parziale in superficie) e limiti di riscaldamento localizzato. Il vantaggio potenziale è sostanziale: eliminare o ridurre le batterie — componenti ingombranti e soggetti a sostituzioni chirurgiche — in impianti come stent intelligenti, sistemi di rilascio farmaci o sensori impiantabili personalizzati con stampa 3D.
