La sfida dell’ingegner 3D: «Così stamperò le case»
Enrico Dini: addio ponteggi, mattoni e cazzuole di Carlo Baroni
Pontedera (Pisa), 30 luglio 2014 – Il prossimo passo sarà la stampante portatile. La si mette sul pontile, si stampa la barriera corallina e la si immerge senza bisogno di trasporto. Un sistema economico ed ecologico. Intanto però si procede con la “stampa” tradizionale, con biomasse di sabbia traforate da quattro quintali che interagiscono molto bene con l’ambiente marino e comunicano facilmente con la vita che vi è presente.
Il futuro è già adesso per Enrico Dini, ingegnere pontederese, 52 anni, che nel 2008 stampò in 3D il primo conglomerato, una sorta di gazebo alto due metri che battezzò Radiolaria, come l’ameba caratterizzata da uno scheletrino siliceo di pochi centesimi di millimetro. Enrico Dini sta per iniziare una sperimentazione delle sue barriere su vasta scala in alcuni grandi porti del mondo, ha una commessa da cento moduli e progetti in pista ad Alicante e Dubai. È l’inventore di un sistema con il quale, utilizzando la sabbia al posto della carta e un legante liquido al posto dell’inchiostro, si possono creare oggetti reali. Anzi, si possono “stampare” le case e, almeno in parte, dire basta con ponteggi, mattoni e cazzuole.
Ma torniamo all’inizio, sul ponte da dove siamo partiti per raccontarvi quest’avventura emozionante in un futuro che, ormai, confina sempre di più con il presente, ha le radici a Pontedera e operativamente si muove dall’Inghilterra dove l’ingegner Dini, che si definisce figlio della Vespa con negli occhi di bambino la creatività di Corradino D’Ascanio, ha trovato subito attenzione e collaborazioni.
Quali sono le potenzialità della sua stampante extra large?
«Il macchinario, che si chiama D-Shape, è grande sei metri per sei metri, lavora per piani sezione su quali spande sabbia legandola con un liquido aggregante: per ogni operazione stamperà tante volte quante sono le sezioni in cui è stato diviso il nostro progetto. Si possono costruire blocchi come un immenso Lego o forme eclettiche necessarie alle caratteristiche meccaniche e fisiche di quanto progettato».
Il prodotto finale che livello di qualità ha raggiunto?
«I test ci dicono che la nostra roccia ha proprietà meccaniche superiori al calcestruzzo ma per il momento ho provvisoriamente accantonato l’idea di costruire, stampandoli, interi edifici perché il mondo delle costruzioni non è del tutto pronto».
Il mare invece sì, quello è già pronto ed i progetti sono in fase avanzata…
«Diciamo che sono più pronto per i pesci che per gli umani. Quella delle barriere coralline è indubbiamente un’opportunità, ma non la sola perché con questo sistema si possono stampare blocchi di forma libera: sto lavorando anche per l’edilizia a sassi abitabili a impatto zero. Il mio inizio nel mondo dei pesci è stato con le rocce per acquari, poi nel 2009 durante una conferenza a Boston nacque l’idea progetto di stampare una barriera e facemmo la sperimentazione nel mare toscano: la prima cosa da dimostrare era la resistenza all’acqua e la sua interazione con l’ambiente marino. I risultati furono entusiasmanti».
Gran parte di tutto questo si muove dall’Inghilterra. Anche lei è un cervello in fuga?
«Sono stato in fuga, adesso sono un cervello deluso. Mi fa rabbia aver dovuto ricorrere agli inglesi per la commercializzazione di questa tecnologia che io ritengo rivoluzionaria. Ma in Italia ho trovato troppe difficoltà: siamo un Paese che non riesce a valorizzare i suoi inventori».
Ci sono già altri competitor che puntano a stampare case prima di lei?
«I cinesi stanno facendo passi da gigante. Ma tra due o tre anni già potremmo cominciare a vedere le prime, vere case “stampate” e abitabili».
di Carlo Baroni da ilrestodelcarlino.it