E’ quello che si dice riconfigurare le idee
Le stampanti 3D per ridurre la carenza di cibo? Un’idea strampalata ma con un senso
La discussione intorno alle stampanti 3D ruota principalmente intorno ai loro rischi, soprattutto quelli di permettere di costruirsi armi in proprio, ma un giornale insospettabile di simpatie verso i fanatici di Kalashnikov e cannoni, come ThinkProgress, si chiede se «Questa nuova, avveniristica tecnologia potrebbe anche essere usata per cose buone come affrontare la scarsità e la sicurezza alimentare globale?»
La seconda SXSW Eco Conference, tenutasi ad Austin, in Texas dal 7 al 9 ottobre, ha affrontato la questione se questa dirompente tecnologia, tra gli altri vantaggi, sia in grado di realizzare cibi ricchi di nutrienti che possano essere prodotti localmente e on-demand, cosa che potrebbe presentare alcune soluzioni alla crescente domanda alimentare globale perché non metta sotto pressione le risorse naturali ed anche per ridurre significativamente i rifiuti alimentari. Due elementi che potrebbero portare alla riduzione delle emissioni di gas serra
I tre relatori alla sessione sulla stampa 3D alla SXSW Eco Conference erano Hod Lipson, professore associato Mechanical & Aerospace Engineering and Computing & Information Science alla Cornell University, Jed Davis, direttore Sustainability alla Cabot Creamery, e Jason Clay, vicepresidente senior per Market Transformation al Wwf e Davis ha spiegato: «Dobbiamo produrre più cibo nei prossimi 40 anni di quanto abbiamo fatto negli ultimi 8.000. Nel 2050 dovremo riuscire a produrre il doppio del cibo di quanto facciamo oggi. Dobbiamo trovare un modo per farlo nel modo più sostenibile. La più grande minaccia per il pianeta è quella di continuare a produrre cibo nel modo business-as-usual moda».
Nessuno dei tre relatori pensa che la stampa 3D di cibo sia la soluzione finale per l’enorme problema di fornire cibo a tutti in tutto il mondo, ma la vedono più come uno sviluppo interessante che, in alcuni casi, potrebbe essere utile.
Clay ha sottolineato che «La stampa 3D non è alchimia: prodotti alimentari entrano dentro e prodotti alimentari ne escono fuori. Non credo che la stampa 3D sia la risposta alla scarsità di cibo, non raggiungerà questo livello abbastanza velocemente. Ed è anche troppo costosa per la maggior parte degli 800 milioni di persone o giù di lì che sono in condizioni di insicurezza alimentare».
Lipson ha tracciato una breve storia della stampa 3D ed ha illustrato l’emergere della stampa alimentare 3D, evidenziando che «La tecnologia della stampa 3D è in giro da molto tempo ed è stata utilizzata per fare cose come parti elettriche, circuiti e batterie. Il suo obiettivo è sempre stato quello di stampare un robot 3D che camminerà fuori della stampante, batterie incluse. Nell’ultima decade o giù di lì la tecnologia per le stampanti 3D è stata resa open source, il che significa che i blueprints e il software sono stati resi disponibili a tutti per usarli per costruire le proprie stampanti 3D ad un costo molto più basso rispetto ai manufacturers charge. Una cosa che tutti hanno realizzato con queste stampanti non sono stati i robot o parti di macchine, è stato il cibo. Se ci pensate, ha senso, perché la maggior parte delle esperienze delle persone nel fare le cose a casa coinvolgono il cibo».
Per Lipton si tratta di un nuovo e interessante connubio tra le information technology e la cucina che ha già prodotto molte idee: «Le stampanti 3D ci forniscono un nuovo angolo per vedere se siamo in grado di essere più efficienti con il cibo, fare le diete più sane, produrre più tipi di cibo con meno ingredienti o, se necessario, fare il cibo on-demand, in modo che alla fine non ne perdiamo così tanto. Oppure alcune cose strane, come fare i broccoli a forma di aereo così i bambini sono più propensi a mangiarli».
Davis ha ulteriormente sviscerato le convergenze tra tecnologia alimentare e dell’informazione: «Mentre la tecnologia sviluppa alcune interessanti prospettive per la specie umana molti di quelli che sono stati più facilmente coinvolti sono nel settore della medicina. Nel frattempo, molti di quelli che creano maggior clamore o polemica sono nell’industria alimentare. Quello che facciamo per mantenere il nostro corpo sano in termini di tecnologia sembra sostituire quello che siamo disposti a fare per il cibo che mettiamo nel nostro corpo. Per esempio, forse un giorno un delizioso formaggio potrebbe essere stampato con un apporto supplementare di vitamine o minerali. Questo è accettabile? E come sarà il suo gusto?»
Argilla dice che la stampa 3D di cibo ha un paio di possibilità: «Un terzo delle calorie prodotte va sprecato sia nel processo produttivo che nel processo dei rifiuti. Se riuscissimo a capire come mettere questi nutrienti nella stampa 3D, potrebbe avere un grande impatto sulla produzione e sulle misure di sostenibilità. Un’altra opzione sarebbe quella di produrre cibo in luoghi come i campi profughi, dove spesso i cibi inviati sono del tutto diversi da ciò che i rifugiati sono abituati a mangiare».
Il 21 settembre Lipson è stato il protagonista di un articolo (Dinner Is Printed) del New York Times che descriveva una cena 3D-printed, tutta stampata, a partire dalle stoviglie, che includeva anche una pizza, o meglio un calzone, a forma di Italia e pasta fatta come le iniziali dell’autore. Il giornalista del New York Times che ha partecipato alla cena, A.J. Jacobs, che scrive anche per Esquire e che è l’autore di “Drop Dead Healthy: One Man’s Humble Quest for Bodily Perfection”, ha detto he è stato «Il pasto più strano e più memorabile della mia vita», ma resta scettico sulle possibili più ampie implicazioni delle stampati 3D di cibo, anche se è convinto che la stampa 3D avrà un ruolo importante nel futuro della tecnologia e della produzione. Ma, come Lipson, Clay e Davis, Jacobs vede le stampanti 3D come un’altra estensione della migrazione verso società di piattaforme online e digitali, delle tecnologie ed ora del cibo.
da greenreport.it