“Stampare” strutture nei cocktail con un braccio robotico: come funziona PRINT A DRINK
Un approccio di micridosaggio controllato che inietta micro‑gocce commestibili in bevande trasparenti, generando forme 3D sospese. Interfaccia tra robotica, reologia dei fluidi e design di esperienza, offerta come servizio per eventi in Europa e Stati Uniti.
PRINT A DRINK è una tecnologia di “stampa” per liquidi bevibili che utilizza un braccio robotico industriale e un testa di dosaggio proprietaria per iniettare micro‑gocce di oli alimentari all’interno di un cocktail o di un’altra bevanda, creando strutture tridimensionali che restano sospese per il tempo dell’esperienza. Il progetto, fondato dall’industrial designer Benjamin Greimel, propone una interpretazione non stratificata della “stampa 3D”: non deposizione layer‑by‑layer, ma posizionamento volumetrico di pixel liquidi in un fluido portante. Oggi è offerto come servizio mobile per eventi, fiere e live‑experience con setup compatti in Europa e USA.
La stampa “alimentare” ha seguito due strade principali: estrusione/impasto (cioccolato, paste) e jetting/2D su schiume (latte art “a getto”, loghi su cappuccini). PRINT A DRINK estende il paradigma a soluzioni trasparenti (cocktail, succhi, acqua) sfruttando la fisica d’interfaccia tra olio commestibile e fase acquosa: densità, viscosità e tensione superficiale determinano se e quanto la gocciolina mantiene forma e posizione. La canalizzazione robotica consente precisione posizionale e ripetibilità, includendo un flusso digitale completo dalla modellazione CAD a un slicer proprietario che genera il codice movimento per il robot.
Novità
L’intervista pubblicata oggi mette a fuoco il “dietro le quinte” del sistema: nascita accademica all’Università di Arte e Design di Linz, evoluzione in prodotto/servizio gestito in prima persona da Greimel, ottimizzazione della catena hardware‑software e consolidamento della proposta come servizio per eventi. Il fondatore racconta un percorso imprenditoriale snello: investimenti incrementali, sviluppo in house del testa di dosaggio, uso di stampa FDM per la prototipazione e blocchi hardware scelti con cura (es. micro‑valvole di derivazione medicale). L’azienda opera con due setup completi (Europa e USA), in grado di servire centinaia di drink in una serata con un solo robot.
Dettagli tecnici
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Meccanismo di stampa. Un KUKA industriale posiziona una capillare in vetro collegata a un dosatore elettrico (senza aria compressa). Il volume dose è regolabile da ~500 nL a alcuni µL per punto; il tempo di dosaggio target è ≤ 200 ms per “voxel liquido”, in modo da mantenere il takt‑time adeguato a produrre pattern 3D percepibili in meno di un minuto.
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Materiale di stampa. Olio alimentare (anche aromatizzato) come fase stampante, liquido acquoso (cocktail, succhi, sciroppi, acqua) come fase ospite. Le gocce si arrotondano per tensione superficiale e risultano visivamente simili a “perle” sospese; l’aroma dell’olio può contribuire al profilo sensoriale del drink.
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Pipeline digitale. CAD → slicer custom → traiettorie robot. Il software interno traduce geometrie in pattern volumetrici ottimizzati per il tempo di servizio e per stabilità in funzione delle proprietà del drink (temperatura, viscosità, densità).
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Prototipazione e costruzione. Ampio uso di stampa FDM per parti non a contatto con alimenti; per i componenti wet‑contact vengono impiegati materiali e componenti idonei al contatto alimentare.
Implicazioni e impatto
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Esperienza e storytelling. I pattern 3D nel bicchiere aggiungono una dimensione visiva che trasforma il drink in medium narrativo. Per brand tech e intrattenimento, l’atto di “stampare” il cocktail crea una micro‑performance che moltiplica la condivisione social (il fondatore segnala come ogni evento generi contenuti organici e richieste successive).
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Operatività eventi. Il takt‑time nell’ordine del minuto permette a un singolo setup di servire centinaia di unità/serata; la compattezza dell’allestimento agevola la gestione backstage in fiere e live‑show.
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R&S e reologia pratica. Il cuore del progetto è il controllo d’interfaccia: piccole variazioni di temperatura, gradazione, zuccheri o viscosità modificano stabilità e tempo di persistenza delle gocce. Il tuning “reologico” è parte del know‑how che trasforma la demo in servizio affidabile.
Limiti e sfide
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Stabilità nel tempo. Le strutture sono temporanee: la diffusione, la convezione e il movimento del bicchiere degradano l’ordine del pattern. Il sistema è pensato per consumo immediato, non per “display statico”.
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Finestra di fluidi. Non tutti i cocktail si prestano: densità/viscosità del mezzo, tensione superficiale e temperatura devono rientrare in un range operativo; il team adatta ricette e schemi in funzione dell’evento.
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Scalabilità industriale. L’unità mobile è adatta a eventi premium; scalare verso installazioni permanenti richiede accordi per manutenzione, igiene e integrazione con i flussi HORECA.
Prezzi e disponibilità
PRINT A DRINK non è venduto come macchina; è commercializzato come servizio: setup robotico + bar mobile + operatore per eventi. Le richieste si gestiscono via contatto diretto; il sito ufficiale fornisce informazioni e canali per preventivi.
Confronto/alternative
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Latte‑art a getto (2D): stampa su schiuma (loghi, testi). È planare e non sfrutta la sospensione volumetrica in liquidi trasparenti.
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Food printing a estrusione: adatto a paste/impasti (cioccolato, creme). Coinvolge solidificazione o gelificazione, non micro‑gocce in fase liquida.
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Additivi “perlage”: le sfere da mixology (sferificazione) creano effetti 3D, ma sono ingredienti nel drink, non traiettorie robotiche programmabili a risoluzione sub‑microlitro. PRINT A DRINK si distingue per precisione posizionale, ripetibilità e programmabilità del pattern.
Prospettive
Dall’intervista emerge una roadmap pragmatica: mantenere il modello snello focalizzato su eventi, potenziare il marketing e valutare installazioni stabili in parchi a tema, hotellerie o ristorazione alta gamma in partnership con operatori capaci di assorbire logistica e manutenzione. Sul fronte tecnico, le leve sono robustezza del dosatore, manutenzione igienica “one‑touch”, tooling per variabilità di ricette e librerie di pattern pronte per l’uso.
PRINT A DRINK dimostra come robotica, scienza dei materiali soffici e design possano generare esperienze misurabili e ripetibili oltre i confini della stampa 3D classica. Non è un gadget scenico: è un processo ottimizzato sul tempo di servizio e sulla stabilità dell’effetto, che rende “programmabile” un momento di consumo. Il valore è nell’integrazione fluida di hardware, software e know‑how reologico: un esempio concreto di come la fabbricazione digitale possa uscire dal laboratorio per adattarsi a vincoli estetici e operativi del mondo reale.
