Un gruppo di studiosi dell’Università di Washington, guidato da Alshakim Nelson, esplora nuove soluzioni di materiali per la stampa 3D che integrino sostenibilità e prestazioni meccaniche. L’obiettivo è sostituire le tradizionali plastiche di origine fossile con biopolimeri completamente biodegradabili in grado di competere per resistenza e versatilità.
Materiali di partenza: le proteine
Al centro di questa ricerca vi sono le proteine, composti naturali ottenibili da fonti vegetali o animali. Grazie alla loro complessa struttura molecolare, esse possono formare reticoli in grado di sostenere geometrie articolate e carichi meccanici. Il team ha sviluppato formulazioni di “bio‐inchiostri” basati su proteine opportunamente trattate, capaci di essere estruse da una testina di stampa 3D convenzionale.
Processo di stampa e reticolazione
La procedura di produzione si articola in tre fasi principali:
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Preparazione del bio‐inchiostro: le proteine vengono disciolte e modificate chimicamente per ottenere la viscosità ideale alla stampa.
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Stampa additiva: il materiale viene depositato strato dopo strato, riproducendo geometrie complesse e reticolari.
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Curing e stabilizzazione: mediante un trattamento termico o con raggi ultravioletti, si avvia la reticolazione che conferisce rigidità e integrità strutturale.
In collaborazione con il professor Lucas Meza, è stata introdotta una specifica architettura di microreticolo. Questa configurazione distribuisce le sollecitazioni interne in modo uniforme, consentendo al componente di assorbire carichi e riprendersi da deformazioni senza la formazione di crepe.
Proprietà meccaniche
Le prove di compressione e flessione sui prototipi mostrano che i campioni a base proteica rivestiti con reticolo funzionale resistono a prove cicliche mantenendo elasticità e tenacità superiori rispetto a molte bioplastiche esistenti. La capacità di deformarsi e recuperare la forma originale estende il ciclo di vita dei pezzi, rendendoli idonei a impieghi in cui la durabilità è un requisito cruciale.
Applicazioni nel settore medicale
Un settore di particolare interesse è quello biomedicale, dove l’uso di dispositivi impiantabili richiede materiali compatibili con i tessuti e privi di residui tossici. Il gruppo ha prodotto uno stent biodegradabile in grado di rilasciare agenti antinfiammatori generati da microrganismi integrati nel bio‐inchiostro. Questo dispositivo può essere conservato a lungo in forma essiccata e riattivato al momento dell’uso, erogando sostanze terapeutiche per oltre un anno.
Prospettive per la produzione decentralizzata
Un’idea che il team sta esplorando riguarda la produzione on‐demand di farmaci in contesti remoti o con risorse limitate, inclusi ambienti spaziali. La possibilità di portare in missione materiali compatti e ottenibili con volume e peso ridotti si traduce in un significativo vantaggio logistico. In scenari come una missione su Marte, dove ogni grammo conta, questi biopolimeri stampabili potrebbero garantire autosufficienza nella fabbricazione di composti terapeutici.
Sviluppi futuri: proteine vegetali geneticamente modificate
Nelson e colleghi stanno valutando fonti proteiche alternative, fra cui quelle derivate da piante geneticamente modificate, come il riso arricchito con proteine specifiche. Questi nuovi ingredienti offrono una base più economica e scalabile, pur mantenendo le caratteristiche meccaniche desiderate. L’obiettivo è stabilire un catalogo di biopolimeri “tailor‐made” per diverse applicazioni, dalla componentistica leggera fino a dispositivi biomedici avanzati.
Verso una classe di materiali indipendente
Il risultato di questo lavoro non si limita a sostituire i polimeri classici. Si propone di creare una nuova categoria di materiali per la stampa 3D che unisca biodegradabilità, funzionalità terapeutica e adattabilità strutturale. Grazie all’architettura reticolare e all’impiego di proteine, questi biopolimeri si candidano a diventare protagonisti di processi produttivi in cui sostenibilità e prestazioni tecniche trovano un equilibrio efficace.
