Il primo oggetto realizzato con la stampa 3D nello Spazio
Realizzato sulla Stazione spaziale, è un pezzo di ricambio per la stessa stampante
Mente la nostra Samantha Cristoforetti, appena arrivata sulla Stazione spaziale, dava il via al suo programma sulla sana alimentazione della missione Futura, sulla casa in orbita si lavorava anche con il nuovo giocattolo per la stampa 3D, realizzando il primo oggetto made in space grazie alla stampante installata appena qualche giorno fa.
Quello prodotto in orbita è una parte della stampante stessa e rappresenta la dimostrazione che in futuro sarebbe effettivamente possibile portarsi dietro delle stampanti 3D nelle missioni, per costruirsi, in maniera autonoma, pezzi di ricambio per le proprie attrezzature, senza dipendere strettamente dalla Terra. Guardando più il là anche durante missioni dirette verso Marte o asteroidi.
Il pezzo confezionato in orbita (una piastra per il supporto elettronico che misura 7,6×3,8×0,6 centrimetri) mostra sia il logo di Made in Space (la startup californiana che ha costruito la stampante) che quello della Nasa. Per realizzarlo un filamento di plastica viene riscaldato e quindi depositato poi uno strato alla volta (additive manifacturing), seguendo le istruzioni contenute nel file caricato nella macchina (dalla Terra). Questo di fatto permette di “spedire per email l’hardware nello spazio invece di lanciarlo”, per dirla secondo le parole su Space.com di Niki Werkheiser, project manager del programma del Marshall Space Flight Center di Huntsville della Nasa.
Il programma per la stampa 3D in orbita nelle prime due fasi cercherà di testare non solo l’effettiva possibilità di stampa, e di confrontarla con quella ottenuta a Terra, ma anche di capire se le parti realizzare possano essere davvero utilizzate. “Non appena stamperemo più parti saremo in grado di capire se alcuni degli effetti che stiamo vedendo sono causati dalla microgravità o se sono solo una parte del normale processo di messa a punto per la stampa. Quando avremo poi queste parti sulla Terra, saremo in grado di fare un’analisi più approfondita”, conclude Werkheiser .
Anna Lisa Bonfranceschi da wired.it