Polimeri fotopolimerici autoriparanti per stampa 3D: il progresso firmato RIT
Un team di ricerca del Rochester Institute of Technology (RIT), guidato dal dottorando Vincent Mei in collaborazione con Kory Schimmelpfennig e il professor Christopher L. Lewis, ha messo a punto una resina autoriparante per la stampa 3D a luce UV, in grado di recuperare la resistenza meccanica dopo danni e quindi di estendere la vita utile dei pezzi prodotti.
Una miscela dual‐fase per durevolezza e ripristino
Le stampanti SLA e DLP sfruttano resine fotopolimeriche per ottenere dettagli elevati, ma il materiale indurito tende a risultare fragile e inadatto ad applicazioni strutturali. Per superare questa limitazione, il gruppo RIT ha combinato un termoplastico con una resina termoindurente UV-curabile: durante la stampa si ottiene un blend omogeneo e trasparente, mentre in fase di reticolazione le due componenti formano fasi interconnesse. Il termoset garantisce rigidità e stabilità dimensionale, il termoplastico invece fonde nuovamente con calore e penetra nelle microfratture, sigillandole quando si raffredda.
Prestazioni di recupero e ambiti di impiego
Le prove hanno mostrato che le parti prodotte con questa resina recuperano quasi integralmente il modulo di elasticità e la resistenza a trazione originali, talvolta superando sistemi tradizionali. Settori come l’aerospazio, le applicazioni medicali, la robotica molle e i rivestimenti protettivi possono trarre vantaggio da componenti che, in situ, rigenerano la propria integrità funzionale: basti pensare alle costose missioni di riparazione del Telescopio Hubble, che tra il 1993 e il 2009 hanno richiesto interventi plurimiliardari.
Equilibrio tra lavorabilità e capacità di guarigione
Introdurre la frazione termoplastica comporta sfide nella fluidità della resina e nel controllo del processo di stampa. Il team di RIT sta ottimizzando le formulazioni per garantire una viscosità adeguata al flusso nel proiettore UV e un’efficace capacità riparativa con cicli di calore brevi e a basse temperature. L’obiettivo finale è proporre al mercato nuovi materiali compatibili con workflow SLA e DLP, capaci di eseguire dettagli di precisione e nel contempo autoripararsi in poche decine di secondi.
Sfide e prospettive nel panorama internazionale
Questa innovazione si inserisce in un contesto di ricerche parallele su materiali autoriparanti per la manifattura additiva: l’Università di Delft e Texas A&M hanno esplorato filamenti TPU e polimeri elastomerici capaci di rigenerare legami molecolari a temperatura ambiente o con riscaldamento, mentre la University of Southern California e la University of Melbourne hanno sperimentato gel trasparenti e gomma-like con strutture interne di riserva. Diverse strategie – dall’embedded reservoir di Lamar University al termoplastico/termoset di RIT – stanno ampliando l’ecosistema dei materiali AM, rendendo possibili pezzi più resistenti, sostenibili e a minor impatto ambientale.

