Il vantaggio di avere aziende leader in Italia nella stampa 3d si vede da questa collaborazione. Non bisogna mettersi in coda con qualche player estero della stampa 3d , ma si può evolvere insieme nelle strutture italiane.
Comunicato stampa
Tutori che quasi azzerano i costi. Sostituti di teca cranica rivoluzionari
STAMPA 3D E MEDICINA: IL FUTURO E’ ADESSO
La collaborazione fra Wasp e Istituto Ortopedico Rizzoli
Tutori per Pronto soccorso più funzionali degli attuali il cui costo viene drasticamente abbattuto, quasi azzerato. E in futuro sostituti di teca cranica che ne riproducono quasi perfettamente le caratteristiche, con lo scopo di favorire la rigenerazione ossea e provocare una straordinaria bio-integrazione. Questo grazie a tecniche di stampa 3D in campo medico all’avanguardia nel mondo.
L’applicazione della manifattura digitale in ambito sanitario può modificare l’approccio assistenziale, rendendolo economicamente alla portata di tutti e personalizzando sempre di più le terapie. Dalla collaborazione tra WASP, azienda leader nella stampa 3D e la Banca delle Cellule e del Tessuto Muscoloscheletrico della Regione Emilia-Romagna, con sede all’Istituto Ortopedico Rizzoli, scaturiscono progetti in grado di sgretolare muri che fino a poco tempo fa si ritenevano inattaccabili.
I primi tutori per Pronto soccorso ottenuti con la stampa 3D sono pronti e stanno per essere sperimentati e utilizzati proprio al Rizzoli. Serviranno in caso di contusioni, distorsioni, ma anche fratture. Si tratta di tutori per il polso in Pla, i cui costi si aggirano sui 2 euro, contro i 30 circa di quelli attualmente utilizzati. Inoltre sono perforati e quindi traspiranti. E consentono l’elettrostimolazione per favorire i processi di guarigione. Dopo il polso si passerà ad altre parti del corpo, a partire dal gomito e dal ginocchio.
L’altro progetto, molto ambizioso e davvero rivoluzionario, prevede la possibilità di produrre sostituti di teca cranica direttamente dalla Tac del paziente attraverso la stampa 3D. Si tratterà di tasselli delle stesse dimensioni della parte di teca mancante, ma soprattutto che ne dovranno rispettare fedelmente l’anatomia e la fisiologia.
L’obiettivo è quello di permettere una rigenerazione ossea senza precedenti. Qui si sta completando la fase di messa a punto e standardizzazione. Entro alcuni mesi si prevede siano disponibili i prototipi. I primi impianti su pazienti sono attesi nel 2016.
La collaborazione tra un ente di ricerca e una struttura del territorio è resa possibile anche grazie a progetti finanziati dalla Regione Emilia-Romagna.
Tutori per Pronto soccorso
I tutori realizzati con la stampa 3D per essere applicati al Pronto soccorso del Rizzoli vengono stampati in piano e sono di tre differenti taglie. Successivamente vengono modellati sul polso del paziente. Peraltro, come spiega Massimo Moretti, fondatore di WASP, azienda con sede a Massa Lombarda (Ravenna) conosciuta in tutto il mondo, “stiamo sviluppando stampanti 3D con ugelli estrusori di maggiori dimensioni. Sarà quindi possibile, grazie all’inserimento di alcuni parametri dimensionali o a una vera e propria scansione 3D della mano del paziente, stampare tutori su misura e in tempi molto rapidi: 10-20 minuti. Si potrà così intervenire ogni volta direttamente sul posto, a seconda delle singole esigenze”.
Per arrivare ai tutori si è partiti da un modello studiato dal PiuLab del Politecnico di Milano, laboratorio che collabora con WASP nella ricerca. La scelta di utilizzare il Pla è dovuta principalmente al fatto che si tratta di materiale termoplastico a base di mais che viene estruso dalle stampanti fino a 180 gradi, ma a 60 gradi circa diventa già malleabile e deformabile. Il tutore stampato in piano, in seguito viene riscaldato in modo da essere modellato a seconda delle esigenze e infine raffreddato per mantenere la forma richiesta.
I tutori termoformabili non sono una novità nei Pronto soccorso. La novità è la stampa 3D, che permette di abbattere i costi di circa il 90%. Inoltre non è più necessario bendare il paziente. La struttura è particolarmente resistente, modellabile a seconda delle esigenze e perforabile, in modo tale da consentire la traspirazione.
Alla progettazione dei tutori ha contribuito direttamente, e con grande entusiasmo, il personale del Pronto soccorso del Rizzoli. Sono stati indispensabili i suggerimenti e le osservazioni di chi quotidianamente è a contatto con i pazienti. Alcune modifiche sono state apportate in corso d’opera, tra le quali l’inserimento di tre linee esterne che si possono eventualmente tagliare con le forbici, per potersi adeguare all’infinita variabilità di forma del polso di ogni individuo. Si trovano nel palmo della mano sotto le dita, attorno alla base del pollice, nel punto di chiusura verso l’avambraccio.
La chiusura avviene con delle stringhe auto regolabili. Peraltro la possibilità di realizzare tutori “su misura” a breve renderà non più necessarie queste linee di taglio.
Un’evoluzione ulteriore è la possibilità di utilizzare una stampa in doppio materiale, con un Pla normale e un Pla conduttivo elettricamente. Questo consentirà di distribuire degli elettrodi nella struttura del tutore, in modo da poter effettuare un’elettrostimolazione (tens) o creare campi elettromagnetici che accelerino i processi di guarigione in caso di frattura.
Sostituti di teca cranica
Sostituti di teca cranica che ne riproducono la struttura originaria in tre strati: due con caratteristiche di solidità e robustezza; uno interno che favorisce la rigenerazione. La calotta, nel tempo, sarà sostituita dall’osso del paziente in modo spontaneo, fisiologico, attraverso un processo di ossificazione. Sarà, insomma, sempre meno un “corpo estraneo”.
Come ha spiegato il direttore della Banca delle Cellule e del Tessuto Muscoloscheletrico del Rizzoli, Pier Maria Fornasari,“in caso di grave trauma cranico il chirurgo è spesso costretto a rimuovere parte della teca per permettere al cervello di espandere il suo volume. Teca che va riposizionata una volta che il cervello riprende le sue dimensioni normali. Fino ad oggi si possono valutare tre opzioni: riutilizzare la teca originaria, che deve però essere ben disinfettata e lavata; utilizzare una teca in idrossiapatite, un materiale molto fragile che costringe poi il paziente ad avere attenzioni particolari nella vita di tutti i giorni; impiantare una teca in plastica, materiale che però non è bio-riassorbibile e colonizzabile. Queste teche, inoltre, hanno il difetto di essere mono-strato, mentre la nostra teca cranica naturale è fatta di osso piatto e quindi è un tri-strato”.
L’idea assolutamente innovativa è quella di produrre direttamente dalla Tac del paziente, con tecnologia di stampa 3D, un equivalente della parte di teca mancante di dimensioni assolutamente identiche, ma che soprattutto rispetta l’anatomia e la fisiologia della teca, cioè ne riproduce i tre strati: uno esterno rigido di osso corticale; uno intermedio di osso spugnoso; uno interno ancora di osso corticale.
Attualmente si lavora soprattutto per la definizione dei materiali e sulla tecnologia di deposizione. Per quanto riguarda le due parti esterne si punta su materiali robusti, resistenti al carico, ma bio-riassorbibili, come ad esempio il caprolactone. Per la componente interna si pensa alla stessa idrossiapatite. L’obiettivo è far partire da qui i processi di rigenerazione.
L’ossificazione sarà facilitata anche da una perforazione della corticale nella parte superiore, quindi a contatto col cuoio capelluto, per favorire ulteriormente l’inserimento di vasi sanguigni.
E’ già stato preso contatto con alcuni gruppi neurochirurgici per avviare una collaborazione e passare poi a una fase di sperimentazione pre-clinica e clinica.
Più che a un FabLab che stampi teche per tutti gli ospedali italiani, anche in questo caso si pensa a un processo trasferibile nelle singole strutture. In futuro la teca da impiantare al paziente potrà quindi essere realizzata direttamente in sala operatoria e messa a disposizione del chirurgo.
La valenza sociale di un simile progetto è enorme. Tra l’altro le protesi attuali costano diverse migliaia di euro e un giorno si potrebbe passare a circa un centinaio l’una. Sarà possibile intervenire non solo negli ospedali italiani, ma anche in zone di guerra nel mondo, dove il problema è quotidiano e di dimensioni ben maggiori.