La evoluzione politico economica della scheda italiana ci sarà un lieto fine? Ma serve davvero un lieto fine ? O è solo semplice business ?
Arduino, la verità di Banzi Il co-fondatore del progetto open source spiega i contrasti emersi in seguito alla nascita dell’Arduino Srl: stesso marchio, due società. E due visioni del futuro differenti di Martina Pennisi shadow “L’ultima cosa che voglio è danneggiare il marchio…”. Massimo Banzi è sconsolato e già stanco della situazione che si è venuta a creare negli ultimi giorni ed è destinata a condizionare il futuro di Arduino. Anzi, è già stanco di un braccio di ferro che, fa capire, va avanti da tempo: “Si è rovinata anche un’amicizia, un’amicizia importante”. Parla da Londra, mentre qui in Italia ci chiediamo se l’ultima favola dell’eccellenza tecnologica italiana sia già finita (qui le nostre schede che spiegano che cos’è Arduino e come funziona). Internet of things Banzi fa riferimento a Gianluca Martino, uno dei quattro fondatori della scheda elettronica famosa in tutto il mondo. È nata a Ivrea nel 2005, nell’Interaction Design Institute – di Olivetti, a proposito di favole tecnologiche italiane – su iniziativa di Banzi, Martino, dall’ingegnere spagnolo David Cuartielles, di David Mellis, uno studente di Banzi, e Tom Igoe. È dotata di un microcrontrollore che consente di intervenire sull’attività di oggetti circostanti. Non si tratta di un dispositivo pensato per finire nelle mani di tutti, come gli smartphone o i tablet, ma dedicato a chi ha la passione dell’elettronica e la voglia di dare una dimensione concreta alle sue idee, i cosiddetti makers. Dalle piante che mandano un’e-mail quando hanno sete alla giacca del ciclista che si illumina quando sta per imboccare una curva: in questi anni si sono visti progetti di tutti i tipi. Intanto il concetto di Internet of things, per far dialogare i dispositivi connessi indipendentemente dal nostro intervento diretto, è diventato importante anche fuori dai laboratori dei makers e progetti come Arduino hanno assunto ulteriore valore. Open source La caratteristica distintiva, nonché tallone d’Achille delle ultime ore, dell’idea concepita a Ivrea è quella di essere open source. Banzi e soci non hanno blindato la scheda, ma hanno reso disponibili a chiunque le informazioni per realizzarne di analoghe e per metterci mano autonomamente. Si è così creata una comunità di appassionati e di aziende interessate che hanno comunque continuato a rivolgersi ai fondatori del progetto per le novità legate alla programmazione e per il funzionamento del sistema. “Oggi una scheda la può produrre o copiare praticamente chiunque, la particolarità di Arduino è nell’ecosistema, nella creazione del software”, spiega Banzi. E nel marchio: l’unico aspetto di cui viene tenuto il controllo. Per realizzare schede e utilizzare il nome di Arduino bisogna fare riferimento ai suoi creatori. Che dallo scorso novembre si sono divisi in due fazioni: da una parte Banzi, con Cuartielles, Igoe e Mellis, e dall’altra Martino con Federico Musto, nome noto agli appassionati del settore per aver portato in Italia la società che distribuisce alcune versioni del sistema operativo Linux, la Red Hat. “Ho incontrato Banzi e Marino 3 anni fa a New York e abbiamo parlato di una scheda wi-fi”, racconta Musto. L’idea si è poi concretizzata nel 2013 come Yùn, la prima Arduino a ospitare il sistema operativo Linux, nonché quella maggiormente in grado di competere sul terreno dello storico rivale Raspberry Pi. A realizzarla Arduino in collaborazione con Dog Hunter, società di Musto. La Smart Projects e il marchio Arduino Prima di arrivare al punto di rottura bisogna però fare nuovamente un passo indietro. Al 2005, alla produzione dei primi lotti di schede. “Ci siamo rivolti a dei ragazzi di Ivrea”, racconta Banzi. Motivo per cui il nome Arduino è sempre stato associato al Made in Italy. E così effettivamente è ed è stato sotto il cappello della Smart Projects, società di Strambino, paese a 10 minuti da Ivrea, di proprietà di Martino che produce, a seconda delle versioni, dal 70 al 90% delle schede in circolazione. La stragrande maggioranza, insomma. Intanto i 5 cercavano fortuna negli Stati Uniti fondando l’azienda Arduino Llc “di cui siamo tutti soci al 20%”, spiega Banzi, e attraverso la quale è stato registrato nel 2009, sempre negli Usa, il marchio Arduino. Nel corso degli anni sono state aperte sedi in tutto il mondo, compresa la svizzera Arduino SA di cui Banzi, che oggi vive e insegna a Lugano, è amministratore delegato e l’italiana Officine Arduino. La spaccatura La spaccatura è datata novembre 2014, quando Martino rinomina la Smart Projects come Arduino Srl e dà il timone a Federico Musto. Che afferma: “Abbiamo registrato il marchio Arduino in Italia e in altri Paesi, adesso vogliamo portare avanti un progetto industriale globale”. Di Banzi non fa praticamente menzione, se non definendolo “un ambasciatore” che “è stato pagato come tale per la sua attività di marketing in questi anni”. La sua intenzione , come abbiamo raccontato, è di cambiare marcia e di portare i 15 milioni di fatturato annuo attuali a 50 milioni nei prossimi 2-3 anni concentrandosi in particolare sul mercato asiatico. “In realtà sono io che sto lavorando da tempo alla conquista di nuovi mercati, ed è stata questa l’origine delle discussioni: ho chiesto più volte di fare accordi in Cina ma hanno messo il veto. Adesso vogliono appropriarsi di un marchio che solo marginalmente è legato all’attività produttiva”, replica Banzi. Ricapitolando, Martino, con Musto in un secondo momento, vuole mantenere la produzione in Italia mentre Banzi vuole fare accordi anche in altri Paesi per essere competitivo laddove limitarsi a replicare le schede è molto più conveniente che acquistarle dalla Smart Projects oggi Arduino Srl. Non può deciderlo senza interpellare la società di Ivrea, come una Apple può fare con la cinese Foxconn per capirci, perché Martino è sia parte di Arduino sia (ex) capo della produzione. La situazione è già nei tribunali di più Paesi partendo da incomprensioni che sembrano precedenti allo scorso novembre. “Non ci sono numeri precisi sul numero di schede che hanno venduto. Siamo intorno ai due milioni, ma non ci hanno dato informazioni dettagliate”, afferma infatti Banzi. Il paradosso è che, in attesa delle decisioni dei giudici, le due realtà stanno andando avanti su binari paralleli: Banzi è Londra, in procinto di siglare “accordi della stessa portata di quello con Intel”, che nel 2013 ha portato alla creazione delle schede Galileo ed Edison. Musto, che afferma di non aver mai compreso la “reale natura dell’intesa con Intel”, parla di strette di mano “con Bosch e Panasonic” e si presenta online con Arduino.org, un portale identico nella grafica e nelle funzioni ad Arduino.cc. ] Arduino, la verità di Banzi
Il co-fondatore del progetto open source spiega i contrasti emersi in seguito alla nascita dell’Arduino Srl: stesso marchio, due società. E due visioni del futuro differenti
di Martina Pennisi
shadow
“L’ultima cosa che voglio è danneggiare il marchio…”. Massimo Banzi è sconsolato e già stanco della situazione che si è venuta a creare negli ultimi giorni ed è destinata a condizionare il futuro di Arduino. Anzi, è già stanco di un braccio di ferro che, fa capire, va avanti da tempo: “Si è rovinata anche un’amicizia, un’amicizia importante”. Parla da Londra, mentre qui in Italia ci chiediamo se l’ultima favola dell’eccellenza tecnologica italiana sia già finita (qui le nostre schede che spiegano che cos’è Arduino e come funziona).
Internet of things
Banzi fa riferimento a Gianluca Martino, uno dei quattro fondatori della scheda elettronica famosa in tutto il mondo. È nata a Ivrea nel 2005, nell’Interaction Design Institute – di Olivetti, a proposito di favole tecnologiche italiane – su iniziativa di Banzi, Martino, dall’ingegnere spagnolo David Cuartielles, di David Mellis, uno studente di Banzi, e Tom Igoe. È dotata di un microcrontrollore che consente di intervenire sull’attività di oggetti circostanti. Non si tratta di un dispositivo pensato per finire nelle mani di tutti, come gli smartphone o i tablet, ma dedicato a chi ha la passione dell’elettronica e la voglia di dare una dimensione concreta alle sue idee, i cosiddetti makers. Dalle piante che mandano un’e-mail quando hanno sete alla giacca del ciclista che si illumina quando sta per imboccare una curva: in questi anni si sono visti progetti di tutti i tipi. Intanto il concetto di Internet of things, per far dialogare i dispositivi connessi indipendentemente dal nostro intervento diretto, è diventato importante anche fuori dai laboratori dei makers e progetti come Arduino hanno assunto ulteriore valore.
Open source
La caratteristica distintiva, nonché tallone d’Achille delle ultime ore, dell’idea concepita a Ivrea è quella di essere open source. Banzi e soci non hanno blindato la scheda, ma hanno reso disponibili a chiunque le informazioni per realizzarne di analoghe e per metterci mano autonomamente. Si è così creata una comunità di appassionati e di aziende interessate che hanno comunque continuato a rivolgersi ai fondatori del progetto per le novità legate alla programmazione e per il funzionamento del sistema. “Oggi una scheda la può produrre o copiare praticamente chiunque, la particolarità di Arduino è nell’ecosistema, nella creazione del software”, spiega Banzi. E nel marchio: l’unico aspetto di cui viene tenuto il controllo. Per realizzare schede e utilizzare il nome di Arduino bisogna fare riferimento ai suoi creatori. Che dallo scorso novembre si sono divisi in due fazioni: da una parte Banzi, con Cuartielles, Igoe e Mellis, e dall’altra Martino con Federico Musto, nome noto agli appassionati del settore per aver portato in Italia la società che distribuisce alcune versioni del sistema operativo Linux, la Red Hat. “Ho incontrato Banzi e Marino 3 anni fa a New York e abbiamo parlato di una scheda wi-fi”, racconta Musto. L’idea si è poi concretizzata nel 2013 come Yùn, la prima Arduino a ospitare il sistema operativo Linux, nonché quella maggiormente in grado di competere sul terreno dello storico rivale Raspberry Pi. A realizzarla Arduino in collaborazione con Dog Hunter, società di Musto.
La Smart Projects e il marchio Arduino
Prima di arrivare al punto di rottura bisogna però fare nuovamente un passo indietro. Al 2005, alla produzione dei primi lotti di schede. “Ci siamo rivolti a dei ragazzi di Ivrea”, racconta Banzi. Motivo per cui il nome Arduino è sempre stato associato al Made in Italy. E così effettivamente è ed è stato sotto il cappello della Smart Projects, società di Strambino, paese a 10 minuti da Ivrea, di proprietà di Martino che produce, a seconda delle versioni, dal 70 al 90% delle schede in circolazione. La stragrande maggioranza, insomma. Intanto i 5 cercavano fortuna negli Stati Uniti fondando l’azienda Arduino Llc “di cui siamo tutti soci al 20%”, spiega Banzi, e attraverso la quale è stato registrato nel 2009, sempre negli Usa, il marchio Arduino. Nel corso degli anni sono state aperte sedi in tutto il mondo, compresa la svizzera Arduino SA di cui Banzi, che oggi vive e insegna a Lugano, è amministratore delegato e l’italiana Officine Arduino.
La spaccatura
La spaccatura è datata novembre 2014, quando Martino rinomina la Smart Projects come Arduino Srl e dà il timone a Federico Musto. Che afferma: “Abbiamo registrato il marchio Arduino in Italia e in altri Paesi, adesso vogliamo portare avanti un progetto industriale globale”. Di Banzi non fa praticamente menzione, se non definendolo “un ambasciatore” che “è stato pagato come tale per la sua attività di marketing in questi anni”. La sua intenzione , come abbiamo raccontato, è di cambiare marcia e di portare i 15 milioni di fatturato annuo attuali a 50 milioni nei prossimi 2-3 anni concentrandosi in particolare sul mercato asiatico. “In realtà sono io che sto lavorando da tempo alla conquista di nuovi mercati, ed è stata questa l’origine delle discussioni: ho chiesto più volte di fare accordi in Cina ma hanno messo il veto. Adesso vogliono appropriarsi di un marchio che solo marginalmente è legato all’attività produttiva”, replica Banzi. Ricapitolando, Martino, con Musto in un secondo momento, vuole mantenere la produzione in Italia mentre Banzi vuole fare accordi anche in altri Paesi per essere competitivo laddove limitarsi a replicare le schede è molto più conveniente che acquistarle dalla Smart Projects oggi Arduino Srl. Non può deciderlo senza interpellare la società di Ivrea, come una Apple può fare con la cinese Foxconn per capirci, perché Martino è sia parte di Arduino sia (ex) capo della produzione. La situazione è già nei tribunali di più Paesi partendo da incomprensioni che sembrano precedenti allo scorso novembre. “Non ci sono numeri precisi sul numero di schede che hanno venduto. Siamo intorno ai due milioni, ma non ci hanno dato informazioni dettagliate”, afferma infatti Banzi. Il paradosso è che, in attesa delle decisioni dei giudici, le due realtà stanno andando avanti su binari paralleli: Banzi è Londra, in procinto di siglare “accordi della stessa portata di quello con Intel”, che nel 2013 ha portato alla creazione delle schede Galileo ed Edison. Musto, che afferma di non aver mai compreso la “reale natura dell’intesa con Intel”, parla di strette di mano “con Bosch e Panasonic” e si presenta online con Arduino.org, un portale identico nella grafica e nelle funzioni ad Arduino.cc.
martina pennisi da corriere.it