Introduzione al microfabbricazione intracellulare
Un gruppo di ricerca del Laboratory for Biological and Soft Photonics presso il Jožef Stefan Institute di Lubiana ha sperimentato una tecnica per stampare strutture polimeriche direttamente all’interno di cellule viventi, senza alterarne il patrimonio genetico. L’obiettivo è impiegare la polymerizzazione a due fotoni per creare microelementi tridimensionali puntiformi nell’ambiente citoplasmatico, aprendo nuove strade per marcature cellulari, sensori intracellulari e strumenti biomeccanici inseribili in vivo.

Principi della polymerizzazione a due fotoni
La metodica utilizza un fotopolimero biocompatibile in forma liquida che viene iniettato in cellule di mammifero. Un laser a impulsi ultracorti, focalizzato con precisione submicrometrica tramite un microscopio a scansione a rimbalzo di galvo, induce la polimerizzazione solo nel volume di fuoco, grazie all’assorbimento simultaneo di due fotoni. Questo approccio, implementato con una piattaforma dedicata – simile alla Photonic Professional GT+ di Nanoscribe – permette di costruire oggetti strato per strato all’interno del citoplasma, eliminando poi il materiale non reticolato che si dissolve spontaneamente.

Esempi di microstrutture e loro funzioni
Durante gli esperimenti, i ricercatori hanno realizzato diverse forme: un elefante lungo 10 micrometri, codici a barre ottici e minuscoli laser sferici. I barcodes, creati con spaziature inferiori a 300 nanometri, consentono di identificare singole cellule durante processi di coltura o tracciamento in vivo. I microlaser, grazie all’effetto di cavità ottica, emettono luce di colore variabile in funzione della dimensione della sfera polimerica, offrendo la possibilità di assegnare a ogni cellula una “firma luminosa” riconoscibile con tecniche di imaging confocale.

Compatibilità biologica e sopravvivenza cellulare
Nonostante la complessità dell’intervento, circa il 50% delle cellule trattate ha mantenuto funzione metabolica e capacità di divisione. Parte di questo risultato si deve al tipo di fotoresist utilizzato (una formulazione a base di resine acrilate progettate per uso biomedicale) e alla modulazione della potenza del laser per ridurre il danno ossidativo. Il protocollo prevede inoltre l’impiego di mezzi di coltura arricchiti con radical scavenger per mitigare lo stress indotto dalla polimerizzazione.

Applicazioni in biotecnologia e medicina
Oltre alla semplice marcatura, le microstrutture intracellulare possono diventare veri strumenti funzionali:

  • Sistemi di rilascio controllato: gabbie polimeriche caricabili con farmaci o nanoparticelle, capaci di rilasciare il carico in risposta a stimoli meccanici o luminosi.

  • Sensori di forza: leve piezoresistive in grado di misurare tensioni locali generate durante la migrazione cellulare o l’interazione con la matrice extracellulare.

  • Barriere spaziali: pareti interne che vincolano la distribuzione di organelli o miroRNA, utili per studiare compartimentalizzazione e dinamiche intracellulari.

Questi sviluppi si affiancano agli sforzi di aziende come CELLINK, attiva nella biofabbricazione di tessuti, e Organovo, pioniera nel bioprinting di strutture tissutali, entrambe interessate a integrare soluzioni di microstampa all’interno di protocolli di coltura avanzata.

Sfide tecniche e prospettive future
Il principale limite rimane lo spazio disponibile all’interno della cellula: il volume di una goccia di resina non può superare alcune decine di femtolitri, impattando le dimensioni e la complessità delle forme realizzabili. Per superare questa barriera, il team del Jožef Stefan Institute sta esplorando l’uso di idrogeli idrosolubili, in grado di distribuire il fotoresist in modo uniforme e poi dissolversi, liberando spazio per strutture più ampie. Sul fronte hardware, il passaggio a sistemi di scrittura basati su microobiettivi immersi direttamente nel mezzo di stampa (drop-in lithography) potrebbe semplificare il setup ed estendere la portata della tecnologia a un maggior numero di laboratori.

A livello di integrazione, la combinazione di questa tecnica con nanoparticelle fluorescenti o sonde di risonanza magnetica apre la via a sonde multimodali per diagnostica cellulare, mentre l’impiego di laser a impulsi più brevi e a lunghezze d’onda nel vicino infrarosso promette di ridurre ulteriormente il danno ai tessuti viventi.


 

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Di Fantasy

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