Perché le murature storiche senza armatura sono vulnerabili ai terremoti
Molti edifici storici sono realizzati in muratura non armata: pareti in laterizio o pietra dove la resistenza dipende dall’insieme blocchi–malta e dalle connessioni tra pareti, solai e coperture. In presenza di azioni sismiche, queste strutture possono soffrire sia per meccanismi nel piano (taglio e fessurazione diagonale) sia, soprattutto, per meccanismi fuori piano, con ribaltamenti o distacchi di facciate quando i collegamenti tra pareti e diaframmi sono deboli. È una criticità nota nella pratica del miglioramento/adeguamento sismico del patrimonio costruito, perché spesso la geometria è irregolare, i materiali sono eterogenei e gli interventi devono rispettare vincoli architettonici e conservativi.
I limiti dei retrofit “classici” quando l’edificio è vincolato o la facciata non si può toccare
I metodi tradizionali per rinforzare murature storiche includono telai o controventi esterni in acciaio, intonaci armati/shotcrete, sistemi in FRP o TRM applicati sulle superfici, oltre a tiranti e connessioni passanti. Queste soluzioni possono essere efficaci, ma nei contesti di conservazione spesso presentano problemi: impatto estetico, reversibilità limitata, difficoltà di adattamento a pietre e mattoni irregolari, e lavorazioni invasive (tagli, demolizioni localizzate, ripristini). La letteratura sulle tecniche di rinforzo per murature esistenti discute proprio questo compromesso tra prestazione strutturale e compatibilità con il costruito storico.
La proposta discussa: inserti e connettori “su misura” in acciaio stampati 3D
Viene descritto un lavoro di ricerca presentato alla 18th World Conference on Earthquake Engineering che esplora un’idea diversa: usare la produzione additiva metallica per fabbricare rinforzi in acciaio personalizzati, modellati sulla geometria reale di ogni parete. L’obiettivo è migliorare trasferimento a taglio, connessioni tra paramenti e capacità fuori piano, ma con componenti che restano in gran parte nascosti in giunti di malta, cavità o fori carotati, riducendo la necessità di piastre esterne visibili. Il contributo indicato nei proceedings è intitolato “3D Printed Steel Reinforcement for Strengthening Historic Unreinforced Masonry Structures”.
Perché la stampa 3D in metallo può aiutare sulle murature: geometrie che aumentano l’ancoraggio
Il punto tecnico è nella forma: un connettore tradizionale è spesso un elemento semplice (barra, piastra, tassello), mentre l’AM permette superfici testurizzate, chiavi a taglio, reticoli e transizioni “organiche” che aumentano l’area di contatto e l’interblocco meccanico con malte e boiacche ad alte prestazioni. In teoria, questo può ridurre concentrazioni di tensione in punti localizzati e distribuire meglio le forze su più unità di laterizio/pietra. Si sottolinea anche la possibilità di “parametrizzare” la rigidezza (spessori e geometrie) in funzione delle necessità locali: per esempio, zone più deboli o giunti più degradati.
Dal rilievo alla parte (“scan to steel”): un flusso di lavoro pensato per cantieri complessi
Lo scenario operativo è: rilievo con laser scanner o fotogrammetria, generazione di una mesh, progettazione parametrica di famiglie di connettori compatibili con dimensioni dei mattoni/pietre e con l’accessibilità, produzione additiva, trattamenti termici e finitura, quindi installazione con boiacche non ritiranti o malte strutturali. L’idea è ridurre lavorazioni in situ di adattamento, forature ripetute e interventi di “taglia e cuci” che spesso sono una quota importante di costo e rischio nei cantieri su beni storici.
Quali processi AM entrano in gioco: LPBF, binder jetting, WAAM
Vengono citate più famiglie di tecnologie: LPBF (Laser Powder Bed Fusion) per componenti più fini e ricchi di dettagli, binder jetting con sinterizzazione come ipotesi per costi potenzialmente inferiori e maggiore produttività su lotti di parti piccole/medie, e WAAM (Wire Arc Additive Manufacturing) per elementi più grandi dove la finitura superficiale non è l’aspetto principale.
Materiali: perché si parla spesso di acciai come il 316L e cosa implica la post-lavorazione
Si citano acciai “comuni” nell’AM (ad esempio 316L o gradi basso-legati), perché sono materiali con un’ampia base di dati e applicazioni. Tuttavia, per un uso in edilizia—e ancora di più nel consolidamento di murature storiche—non basta “stampare”: contano trattamenti termici, qualità superficiale, pulizia, eventuali rivestimenti per la corrosione e, soprattutto, ripetibilità delle prestazioni.
I punti da dimostrare: durabilità, corrosione, fatica e compatibilità con la muratura
La proposta è ricerca in fase iniziale, non un kit commerciale. Le incognite principali sono tipiche degli interventi “nascosti” in muratura: comportamento a lungo termine in presenza di umidità e sali, corrosione alle interfacce acciaio–boiacca/malta, risposta a carichi ciclici, e compatibilità di deformazioni/espansioni termiche con il supporto. Inoltre, la rugosità superficiale tipica dell’AM può essere un vantaggio per l’ancoraggio, ma deve diventare un parametro controllato e qualificabile.
Norme e accettazione: perché serviranno protocolli e prove “da codice”
Per passare dalla dimostrazione concettuale all’adozione reale, saranno necessari standard di progettazione e verifica, procedure di posa ripetibili e un percorso di qualificazione coerente con i quadri normativi usati nella pratica. In termini sperimentali, si anticipano prove tipiche: test ciclici su ancoraggi nei giunti, pannelli fuori piano su tavola vibrante e condizionamenti ambientali per valutare degrado e prestazioni residue.
Dove potrebbe avere senso per prima: tanti edifici fragili, forti vincoli estetici, rischio sismico alto
Un approccio “invisibile” potrebbe essere particolarmente interessante in territori con molto patrimonio storico e rischio sismico significativo, dove la domanda di interventi compatibili con la conservazione è elevata. Il vero discrimine sarà economico-operativo: se servono decine o centinaia di connettori per edificio, contano tempi di produzione, post-processo e logistica, non solo il costo unitario del pezzo.
