Perché il fosforo è un problema per le acque interne della Florida
Le fioriture algali dannose (Harmful Algal Blooms, HAB) sono un problema ricorrente in molti laghi e sistemi d’acqua dolce della Florida: quando l’acqua riceve un eccesso di nutrienti (soprattutto fosforo, ma anche azoto), alghe e cianobatteri possono crescere rapidamente, consumare ossigeno, ridurre la penetrazione della luce e, in alcuni casi, produrre tossine con impatti su ecosistemi, salute pubblica ed economia locale. La dinamica è ben nota anche a livello federale: l’Environmental Protection Agency collega esplicitamente l’eccesso di nutrienti alla formazione di HAB e ai loro impatti ambientali ed economici.
Il progetto della Florida Atlantic University finanziato dal Florida Department of Environmental Protection
In questo quadro si inserisce l’iniziativa della Florida Atlantic University (FAU): l’ateneo ha ottenuto un finanziamento da 600.379 dollari (durata biennale, avvio aprile 2026) dal Florida Department of Environmental Protection (FDEP) per sviluppare materiali adsorbenti stampati in 3D capaci di rimuovere fosforo (in forma di fosfato) dalle acque superficiali. Il progetto è guidato da Masoud Jahandar Lashaki (principal investigator) con i co-investigatori Yalan Liu e Mohammed Abdellatef, tutti afferenti all’area di ingegneria civile/ambientale di FAU. Il finanziamento rientra nel pacchetto statale annunciato dal governatore Ron DeSantis: oltre 112 milioni di dollari destinati a interventi su qualità dell’acqua, approvvigionamento idrico, ripristino di sorgenti e tecnologie innovative per mitigare le HAB.
Dalla biomassa delle fioriture a un adsorbente “funzionalizzato” al lantanio
Il cuore tecnico del lavoro FAU nasce da studi precedenti (già supportati da grant FDEP): trasformare biomassa raccolta durante eventi di fioritura in carbone attivo (activated carbon) e poi modificarlo con lantanio (La) per aumentare la capacità di catturare fosfato. Il motivo è chimico: il lantanio ha una forte affinità per il fosfato e può portare alla formazione di rhabdophane, una fase minerale stabile (LaPO₄·nH₂O) che “sequestra” il fosforo rendendolo non più disponibile come nutriente per alghe e cianobatteri. Questa logica (lantanio + immobilizzazione del fosforo) è coerente con una letteratura ampia sugli adsorbenti a base di lantanio per la rimozione del fosfato.
Perché passare alla stampa 3D: recuperabilità, porosità controllata e uso in campo
Il passaggio chiave del nuovo finanziamento è la conversione delle polveri adsorbenti (carbone attivo modificato al lantanio) in strutture robuste stampate in 3D, progettate per lavorare direttamente immerse in acqua. Il problema delle polveri è pratico: tendono a depositarsi nei sedimenti e diventano difficili da recuperare. Con la stampa 3D, invece, FAU punta a oggetti con porosità e permeabilità regolabili, capaci di far scorrere l’acqua “attraverso” l’adsorbente, e soprattutto recuperabili una volta saturi: possono essere rimossi, rigenerati o riciclati, riducendo l’accumulo di fosforo nei sedimenti e semplificando la gestione per gli enti che operano sul territorio. In altre parole, la geometria diventa una variabile ingegneristica tanto quanto la chimica del materiale.
Dove verrà testata la soluzione e quali parametri contano davvero
FAU prevede di mettere in campo i manufatti in più stagni (ponds) nel campus di Boca Raton, così da verificare non solo l’efficienza di rimozione del fosfato ma anche aspetti “da impianto” che spesso decidono il successo o il fallimento di una tecnologia: durata operativa, comportamento al fouling (incrostazioni/biofilm), portata idraulica effettiva, ripetibilità della stampa e stabilità meccanica in immersione. Questo tipo di verifica è rilevante perché una soluzione per le HAB deve essere deployabile con finestre temporali strette e con manutenzioni sostenibili.
Integrazione “multi-funzione”: fosfato oggi, altri contaminanti domani
Un elemento interessante dichiarato dal team FAU è la possibilità di progettare strutture 3D che non facciano una sola cosa: future versioni potrebbero combinare lantanio (fosfato) con carbone attivo (contaminanti organici) o con materiali a scambio ionico per intervenire anche sull’azoto. In termini di gestione ambientale, questa modularità è importante perché i bacini reali raramente hanno un solo parametro fuori scala: nutrienti e microinquinanti possono coesistere, e le soluzioni che riducono il numero di “passaggi” di trattamento risultano più semplici da adottare.
Un parallelo utile: Phoslock e l’approccio “lantanio per bloccare il fosforo”
L’idea di usare il lantanio per immobilizzare fosforo in ambiente acquatico non è nuova in assoluto: un esempio citato spesso nella gestione dei laghi è Phoslock, un trattamento “in-lake” sviluppato a partire da ricerca CSIRO e commercializzato da Phoslock Environmental Technologies (in alcuni mercati tramite operatori come PET Water Solutions). Anche in questo caso il principio è legare il fosfato e formare un minerale stabile (rhabdophane), riducendo la disponibilità di fosforo per sostenere l’eutrofizzazione. La differenza dell’approccio FAU sta nel formato: non una dispersione di particelle/clay, ma corpi stampati in 3D recuperabili che puntano a controllare meglio il ciclo di vita del materiale (installazione → saturazione → rimozione/rigenerazione).
Ricadute attese e limiti da verificare
Se la tecnologia dimostrerà prestazioni e sicurezza ambientale in campo, potrebbe diventare uno strumento operativo per ridurre il fosforo in bacini vulnerabili e aiutare la prevenzione/mitigazione delle HAB. Resta però centrale verificare: (1) quanta capacità di adsorbimento si mantiene nel tempo in acque reali, (2) come cambia l’efficienza con temperatura e qualità dell’acqua, (3) se la rigenerazione è davvero efficace e a che costo, (4) la gestione del materiale a fine vita (riciclo/smaltimento) e (5) l’eventuale rilascio di particolato o componenti durante l’uso. In breve: la chimica promette, ma la validazione sul campo e l’operatività decideranno l’adozione.
