Le malattie infiammatorie croniche della pelle—tra cui psoriasi, dermatite atopica (neurodermite) e acne—sono diffuse e complesse da riprodurre in laboratorio con metodi tradizionali. Una parte del problema è che i modelli basati su animali non rappresentano in modo affidabile la pelle umana: differiscono per architettura dei tessuti e per risposta immunitaria, quindi i risultati possono essere difficili da trasferire alla clinica. Per questo, la TU Wien (Vienna University of Technology) e la Medizinische Universität Wien (MedUni Vienna) descrivono l’uso del 3D bioprinting per creare modelli di pelle umana controllati e riproducibili, utili a studiare meccanismi d’infiammazione e a valutare risposte a farmaci in condizioni più vicine alla realtà clinica.
Chi lavora al progetto e cosa viene presentato: un review su “skin models” immuno-competenti
Il lavoro è presentato come una sintesi critica (review) coordinata dal gruppo di Aleksandr Ovsianikov (TU Wien) con contributi clinici in dermatologia, inclusi autori come Georg Stary (MedUni Vienna) e ricercatori TU Wien come Andrea Gabriela Ulloa-Fernández. L’obiettivo dichiarato è fare il punto su come le tecniche di biostampa possano supportare la ricerca sulle malattie cutanee immuno-mediate, cioè condizioni in cui cellule e segnali del sistema immunitario guidano o mantengono l’infiammazione. La review è riportata come pubblicata su Advanced Healthcare Materials e focalizzata proprio sull’evoluzione dei modelli in vitro e sulla loro applicazione allo studio di queste patologie.
Perché i modelli “classici” faticano: struttura poco controllabile e scarsa integrazione di componenti immunitarie
Nell’impostazione descritta, i metodi standard per ottenere equivalenti cutanei (per esempio colture cellulari o costrutti in collagene) possono creare tessuti “simili” alla pelle, ma spesso con limiti pratici: controllo parziale della geometria e della micro-architettura, durata limitata dello strato cellulare e difficoltà nell’integrare elementi cruciali per le infiammazioni croniche, come cellule immunitarie e, quando serve, componenti vascolari o microambienti con diffusione controllata di nutrienti e segnali. La conseguenza è una riproducibilità non sempre stabile: due campioni preparati con lo stesso protocollo possono maturare in modo diverso, rendendo più difficile confrontare risultati e farmaci.
Come funziona il 3D bioprinting descritto: bioink a base di idrogel e deposizione a micro-gocce
La soluzione proposta ruota attorno alla biostampa 3D con “bioink”: una miscela viscosa composta da cellule vive e idrogel (biopolimeri) selezionati per fornire supporto, proprietà meccaniche adeguate e permeabilità/diffusione compatibili con la vitalità cellulare. Il processo viene paragonato a un approccio tipo inkjet, in cui il materiale viene depositato in modo fine e controllato, strato dopo strato. Un punto chiave è la formulazione: cambiando tipo di idrogel e composizione cellulare, si influenzano rigidità, diffusione di molecole e interazioni tra cellule—tutti aspetti che determinano quanto il modello riproduca una pelle sana o una pelle “infiammata”.
Modelli per patologie specifiche: il caso della psoriasi con linfociti T integrati
Per la psoriasi, l’elemento distintivo è l’integrazione di cellule immunitarie coinvolte nella cascata infiammatoria. Nel materiale descritto, i ricercatori citano modelli psoriasici che includono cellule T, fondamentali nell’attivazione e mantenimento dell’infiammazione psoriasica e nella produzione di mediatori pro-infiammatori. Inserire queste cellule dentro un costrutto cutaneo stampato permette di osservare come la struttura reagisca a stimoli e come cambi in presenza di terapie candidate, creando una piattaforma più informativa rispetto a un modello privo di immunocompetenza.
Dalla “forma” al microambiente: perché la geometria e la matrice extracellulare contano
Un vantaggio pratico della biostampa è la possibilità di definire in modo intenzionale la struttura della matrice extracellulare (ECM) e la disposizione dei diversi compartimenti cutanei, invece di affidarsi alla sola auto-organizzazione. In modelli di pelle, la posizione relativa di strati (derma/epidermide), la densità cellulare e i percorsi di diffusione influenzano sia la fisiologia del tessuto sia l’andamento di fenomeni tipici dell’infiammazione (migrazione cellulare, rilascio di citochine, risposta a stimoli). La review mette l’accento sul fatto che la standardizzazione del processo può ridurre variabilità tecnica e favorire l’adozione dei modelli in studi comparativi e in fasi precliniche.
Impatto sul tema “senza animali”: cosa possono (e non possono) sostituire questi modelli
Nel dibattito sulla riduzione dei test su animali, i modelli cutanei biostampati vengono presentati come un’alternativa promettente per una parte delle domande sperimentali: valutare meccanismi cellulari e immunitari in un contesto tridimensionale umano e testare risposte a molecole o farmaci con misure più mirate. Allo stesso tempo, la letteratura sul bioprinting della pelle evidenzia che rimangono sfide: vascolarizzazione completa quando necessaria, integrazione di terminazioni nervose e appendici cutanee, e definizione di standard condivisi per confrontare modelli tra laboratori. In questa prospettiva, i modelli 3D stampati non sono “la pelle umana”, ma strumenti sperimentali che possono coprire porzioni crescenti del percorso preclinico con maggiore rilevanza umana.
