Poi dicono che i visionari non esistono più o che non incidono nella società. Teniamoci stretti Wasp Moretti e tutto il fenomeno open source .

Dall’open source al benessere collettivo – Intervista a Massimo Moretti

Massimo Moretti WasProjectDall’open source
alla maker economy
al benessere collettivo“L’intelligenza condivisa dà i suoi frutti quando le idee circolano liberamente, nessuno se ne appropria e tutti contribuiscono a svilupparle. Così si realizza il passaggio virtuoso dall’open source alla maker economy al benessere collettivo”.
Massimo Moretti di WASP non ha dubbi: ha scelto ormai da tempo la strada della condivisione delle idee.
“Le idee che viaggiano – continua Moretti – sono molteplici, spesso magnifiche, entusiasmanti. Ormai la difficoltà sta soprattutto nel cogliere le migliori e lavorare solo su quelle realmente utili. La vera frontiera, insomma, non è più l’idea ma è trasformarla in un progetto condiviso e utile a tutti”.

E’ quello che sta accadendo, ad esempio, con i nuovi tutori per il polso?
“Esatto. Il disegno iniziale può essere scaricato da chiunque su Thingiverse ed è del giovane designer statunitense Andreas Bastian. Lui ha sviluppato il concetto di termoformare un materiale in Pla stampato in piano”.

Poi cos’è accaduto?
“Il progetto di Bastian è stato scoperto dal +Lab del Politecnico di Milano che per primo ha avuto l’intuizione, la capacità di coglierne fin da subito le potenzialità. E l’ha giustamente messo in risalto (http://www.thingiverse.com/thing:403001)”.

Qual è stato il ruolo di WASP in collaborazione con il Rizzoli?
“Quando il progetto è arrivato nel nostro laboratorio quasi per caso passavano da noi i ricercatori del Rizzoli. L’hanno visto e l’hanno trovato interessante. Poi hanno dato il loro contributo trasformandolo ulteriormente secondo le caratteristiche richieste
dall’esperienza dei tecnici del loro Pronto soccorso”.

WASP quale contributo ha dato?
“Abbiamo fornito al Rizzoli le informazioni necessarie per produrre i tutori in maniera rapida ed efficiente. All’inizio occorreva più di un’ora di stampa. Abbiamo avviato una ricerca che, con un estrusore più grosso, un approccio diverso di singolo filo più deposto e una stampante 3D che sarà progettata appositamente per i tutori, ci consentirà presto di realizzarli in poco tempo e a bassissimo costo”.

Insomma: lo sviluppo ha avuto tanti attori.
“Proprio così ed è importante che tutti siano citati, perché sono gli anelli che partendo da un’idea arrivano a una soluzione. Ecco che l’intelligenza collettiva dà i suoi frutti quando le idee circolano liberamente. Nessuno è proprietario di questo progetto, nessuno ne può rivendicare la proprietà intellettuale, ma ognuno ha la sua parte di paternità”.

La disponibilità a inserirsi in un meccanismo di questo tipo da parte di un istituto come il Rizzoli non era scontata.
“E’ importante che un istituto di alta conoscenza e di eccellenza mondiale come il Rizzoli abbia l’umiltà di attingere alle conoscenze condivise che viaggiano in rete. E’ altrettanto importante che queste conoscenze possano essere completate dalle esperienze acquisite sul campo che solo istituti di eccellenza possono dare”.

Quale sarà il prossimo passo per quanto riguarda i tutori?
“Ci è stato detto che il lavoro fatto dal Rizzoli verrà condiviso e messo ulteriormente in open source, rispettando tutti i parametri necessari all’evoluzione condivisa. Ringraziamo fin d’ora i loro ricercatori per la disponibilità ad aprire una strada in questa direzione. Quando il loro lavoro sarà pubblicato su Thingiverse, un altro ospedale, magari dall’altra parte del mondo, potrà dare a sua volta un contributo e fare un ulteriore passo avanti verso la condivisione della conoscenza”.

Lei insiste sempre molto su questa parola: condivisione.
“La conoscenza che genera benessere non può essere proprietà privata. Troppe sono le aziende con grande potere economico che sviluppano tecnologie brevettandole e rendendole inaccessibili ai più. Quando il sapere avanzato si connetterà alla conoscenza condivisa sarà un fiorire spontaneo di soluzioni pratiche e accessibili a tutti, che si evolveranno tramite la conoscenza collettiva in movimenti impossibili da anticipare e brevettare, per un beneficio comune che oltre a generare salute genererà lavoro partendo dal basso”.

Fino a poco tempo fa i sistemi erano piuttosto stagni.
“E’ vero. Il mondo che definirei della ‘ricerca convenzionale’ non poteva permettersi di avvicinarsi al mondo dell’open source, anche per una questione di immagine. Ma questi schemi ormai si stanno rompendo. Ora sono altre le cose che contano. Ciò che è vero è vero, ciò che funziona, funziona”.

Qual è il nuovo approccio che guida l’evoluzione tecnologica?
“E’ il concetto del fare concreto, del fare con quello che hai a disposizione, della conoscenza condivisa, dell’evoluzione che nasce dal basso. E della minima spesa massima resa”.

E’ finito il tempo dei brevetti?
“Il concetto che dobbiamo mantenere vivo è che tutte queste conoscenze non sono proprietà esclusiva di nessuno. Il fatto stesso che siano condivise evita l’appropriarsi, quindi il brevetto. Nessuno potrà mai brevettarle perché ormai sono condivise, ma tutti potranno usarle liberamente”.

Quali sono le prospettive?
“Questo nuovo approccio ci dà tante speranze per un mondo migliore, dove tutti collaborano a un obiettivo condiviso, quello del fare e di dare a tutti la possibilità di accedere a delle tecnologie che migliorano la qualità della vita, anche senza grandi
capacità finanziarie”.

Maurizio Andreoli

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