alberto zanatta tecnicaTecnica è un compagno nello sci

“Tecnica si rinnova e adesso fa anche calzature per la città”
Il vicepresidente Alberto Zanatta: “La crisi ci ha frenato ma è alle spalle. La Borsa? L’abbiamo valutata ma ci vuole un fatturato più importante”

Alberto Zanatta, vicepresidente e general manager di Tecnica Spa

ELEONORA VALLIN
Corre l’anno 1969: Giancarlo Zanatta si avventura in America per aprire la prima filiale oltreoceano della sua azienda, la Tecnica Spa, senza affidarsi a distributori. Zanatta entra nel cuore delle celebrazioni a stelle e strisce per il recente sbarco sulla Luna. Le città sono tappezzate di poster dell’allunaggio di Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Zanatta osserva e memorizza il design di quegli stivali. Torna in Italia, a Giavera del Montello (TV) e crea i Moon Boot, icona e lovemark per 45 anni con 25 milioni di paia vendute. Il segreto sta nell’uso della plastica, materiale moderno e inedito ai tempi in una calzatura, ma soprattutto in un inusuale ambidestrismo e nella doppia taglia, nata per economizzare le spese degli stampi e semplificare gli stock di magazzino. Un unicum mai più ripetutosi nella storia della scarpa made in Italy, oggi pronto a una nuova sfida. Moonbootizing the world, ovvero: valorizzare al massimo il sentiment e la conoscenza del marchio Moon Boot che ha un indice di fidelizzazione dell’81%. Grazie all’accordo con Gio’ Style, l’azienda ha ampliato la gamma prodotti con calzature da città, accessori, borse, abbigliamento e una linea bambini in collaborazione con Altana. «Sono allo studio nuove categorie» anticipa il vicepresidente e general manager Alberto Zanatta, figlio del presidente e fondatore Giancarlo, che non esclude un veloce approdo sulle spiagge. Un Moon Boot beach? «Top secret» replica Zanatta.

Tecnica Spa – che affonda le sue radici nel 1930 quando il nonno Oreste riparava in un laboratorio le scarpe dei lavoratori che scendevano dalla montagna – dopo un 2012 di contrazione, ha risalito la china. Il 2013 si è chiuso a quota 325 milioni di fatturato. L’azienda conta 11mila addetti nel mondo per 19 siti produttivi e 11.560 negozi-clienti. Alberto guarda al futuro con ottimismo. La strategia è semplice: «Focalizzarsi sul business e crescere».

Per questo avete ceduto i marchi minori? Novità all’orizzonte?
«Abbiamo ridotto del 30% il catalogo dismettendo Think Pink e Nitro. Oggi abbiamo in portafoglio 8 brand: Tecnica, Nordica, Dolomite, Lowa, Blizzard, Bladerunner, Rollerblade, Moon Boot, frutto di una serie di acquisizioni iniziate nel 1993 e concluse nel 2006. Ora dobbiamo consolidare il portafoglio, virando Moon Boot su un posizionamento premium».

Obiettivi di fatturato?
«Avvicinarci a 350 milioni. Nel mercato intravvediamo qualche segnale di risveglio. L’Italia cresce, anche se meno che altrove, ma per noi rappresenta il 13%. Siamo forti in Europa, il nostro primo mercato è la Germania (20%), e vendiamo molto in Usa (14%). Ora dobbiamo aprirci nel Centro e Sud America mercati a noi favorevoli per il pattino e l’outdoor. I primi riscontri sono positivi».

Quanto a categorie di prodotto, quanto incide oggi il comparto neve?
«Circa il 42% del totale vendite è outdoor e footwear dove primeggia Lowa, la nostra ‘mercedes’ delle calzature, abbiamo un 21% di scarponi da sci, 16% di attrezzature e 11% pattini. Il resto è abbigliamento e accessori. Diciamo quindi che oltre il 50% è generato oggi da prodotti non da neve».

I rollerblade vanno ancora di moda?
«Sul pattino abbiamo un ottimo mercato in Russia, Cina e Oriente, ma anche India e Sud America. Abbiamo rallentato molto in Europa. Qui ha anche influito il meteo. In generale il marchio pesa per il 12% sul totale brand».

Le novità in distribuzione per Moon Boot?
«Abbiamo rinunciato all’ambidestrismo e messo sul mercato modelli WestEast che hanno appunto una destra e una sinistra. Scarpe per la città con una forte identità visiva, sperimentando materiali naturali e diverse forme. Oggi Moon Boot non è più un marchio-sci ma footwear. La sua forza è essere stato per 40 anni sempre uguale a se stesso ma ora, pur mantenendo una forte identità, è saputo uscire con ottimi risultati dalla gabbia dorata. Oggi Moon Boot che copre solo 12 milioni nel totale fatturato cresce all’anno del 10-12%».

Oltre 11.500 negozi non di proprietà. Vi interessa diventare anche retailer?
«In questo momento no. Stiamo però per lanciare il nostro e-commerce per alcune fasce di prodotto come Moon Boot, Rollerblade e Dolomite. Non venderemo online l’attrezzo per salvare la nostra rete qualificata. Internet sarà fondamentale per raggiungere quei consumatori che ci scrivono perché non sanno dove acquistare i nostri prodotti. Penso a molte richieste pervenuteci dall’Africa».

La storia passata è molto allineata a quella del brand Moncler. E’ ipotizzabile anche per voi un posizionamento di Moon Boot verso il lusso e una futura quotazione?
«Difficile dirlo ora. Moon Boot è un marchio friendly e democratico e al momento ci piace così. Stiamo lavorando per qualificarlo ma questo non preclude sviluppi nell’alto di gamma fra un po’ di anni. La Borsa l’abbiamo sempre valutata, non è un tabù, ma aspettiamo di avere un fatturato più importante. Nel 2012 ci eravamo dati l’obiettivo 500 milioni poi la crisi ci ha rallentato, ora ci siamo rimessi in pista».

Il passaggio generazionale, critico in molti casi, qui sembra andato in porto. E’ così, si è completato con successo?
«Credo che su questo aspetto molto abbia influito l’aver progettato e studiato un percorso. E anche aver saputo introdurre, un anno e mezzo fa, un esterno che potesse interrompere, senza fratture, una dinamica familiare. L’entrata di Peter Weaver, il nostro amministratore delegato americano, è servita ad attutire e ha fatto da cuscinetto durante il passaggio».

Avete abbracciato la nuova tecnologia della stampa 3D?
«Ora la usiamo solo per la prototipazione ma la rivoluzione è alle porte. Abbiamo sempre innovato fin dagli esordi, lanciando per primi lo scarpone da sci di plastica nel 1970, ancora oggi è simbolo di attenzione ai materiali e alla lavorazione. La difficile virata che stiamo facendo è però più concettuale, ovvero: allineare lo sport al fashion. Questo vale per la distribuzione e nel valore di prodotto. Perché il made in Italy non è solo moda: è anche sport, e noi siamo un’eccellenza».

da lastampa.it

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